Campagna elettorale incandescente in Turchia in vista del voto di domenica. La polarizzazione tra i partiti in campo per ottenere l’agognato 10% e l’ingresso in parlamento o precipitare nel baratro della fine politica mette tutti in fibrillazione. I camioncini elettorali invadono le strade della capitale con i nomi dei candidati e i capannelli dei kemalisti di Chp e del partito della sinistra filo-kurda Hdp danno filo da torcere alla più rodata macchina elettorale del partito islamista moderato Akp. Recep Tayyp Erdogan, una volta ottenuta una non scontata maggioranza parlamentare assoluta, vorrebbe approvare una riforma costituzionale che preveda super poteri per il presidente della Repubblica.

I primi a pagare le conseguenze dello scontro politico, come spesso accade, sono i giornalisti. In particolare, lo scoop del direttore del quotidiano Cumhuriyet, Can Dundar, alla vigilia del voto, potrebbe causargli addirittura una condanna all’ergastolo. Il quotidiano di opposizione aveva pubblicato le immagini della consegna di una fornitura di armi da parte dell’Intelligence turca (Mit) ai ribelli siriani. Il governo turco si è distinto per il sostegno fornito alle opposizioni siriane anti-Assad, in particolare alle componenti islamiste, per poi abbandonare a loro stessi i kurdi siriani che affrontavano l’avanzata dello Stato islamico nella Siria settentrionale lo scorso autunno, lasciando ai jihadisti libertà di movimento.

Le accuse che pendono sul capo di Dundar sono di spionaggio e rivelazione di informazioni riservate. Le immagini diffuse da Cumhuriyet erano state scattate nel gennaio 2014 da militari della gendarmeria che avevano effettuato controlli ai camion che trasportavano le armi. Il governo turco ha sempre messo le mani avanti sostenendo che fossero aiuti umanitari, stessa spiegazione sempre addotta da Stati uniti e Gran Bretagna per giustificare il sostegno ai gruppi di opposizione in Siria. Dopo la diffusione delle immagini, Erdogan aveva minacciato Dundar, assicurandogli che avrebbe pagato un «caro prezzo» per il suo scoop giornalistico.

Intellettuali ed esponenti della società civile turca, incluso il premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, hanno espresso solidarietà al giornalista.

Ma sotto attacco in Turchia è più in generale la libertà di stampa. Un tribunale di Istanbul ha rinviato al 22 ottobre prossimo il processo contro il direttore del quotidiano socialista di opposizione BirGun, Baris Ince, incriminato per «offese» a Erdogan. Il giornalista, che rischia una condanna fino a 5 anni e mezzo di carcere, è stato incriminato per alcuni articoli nei quali denunciava la corruzione dei circoli politici vicini al presidente.

Eppure Erdogan sembra che voglia farla pagare cara a chiunque esprima critiche sul suo operato. Per questo ieri si è scagliato con una durezza senza precedenti contro la stampa estera, critica verso la sua presidenza. Secondo alcuni media europei Erdogan avrebbe avviato una svolta «autoritaria» nel paese. Ma il presidente turco non ci sta e punta il dito contro la stampa estera riferendo di una precisa strategia che segue una «regia» distruttiva. Il leader dell’Akp, citando tra gli altri New York Times, Bbc e Cnn, ha avvertito che questa stampa vuole «indebolire, dividere, disintegrare e divorare la Turchia». In particolare il quotidiano di New York aveva chiesto che la Nato esercitasse pressioni per limitare i poteri del presidente turco. Tuttavia, le critiche più dure al premier turco ed ex ministro degli Esteri, Ahmet Davutoglu, sono venute dal partito filo-kurdo Hdp.

Il governo avrebbe completamente ignorato gli avvertimenti del leader del partito, Selahattin Demirtas, sui possibili scontri nel Sud-est del paese in seguito al mancato sostegno turco ai combattenti kurdi siriani. Demirtas avrebbe avvertito Davutoglu della situazione incandescente nel corso di una conversazione telefonica. Poco dopo, nella notte tra il 6 e il 7 ottobre scorso violenti proteste esplosero nelle province kurde del paese causando la morte di 52 persone e centinaia di feriti.