L’Occidente di patti col diavolo ne ha stretti tanti, alleanze basate su convenienze a breve termine e poi ritornate indietro come boomerang. Quella con la Turchia di Erdogan è una di queste, un paese che nasconde una guerra civile in corso a sud-est che ai 2,7 milioni di rifugiati siriani ha aggiunto 100mila sfollati kurdi. La particolarità di questa alleanza è che il presidente-sultano Erdogan si sente così intoccabile che nello stesso giorno in cui scuce miliardi di euro a Bruxelles lo accusa pure di sostegno al terrorismo.

L’Europa – ha detto – «danza in un campo minato, sostenendo direttamente o indirettamente le organizzazioni terroristiche. La vipera che avete allevato in petto vi può mordere in qualsiasi momento». Da qui alla previsione di attentati in territorio europeo da parte di gruppi kurdi il passo è breve: «Non c’è ragione che la bomba che è esplosa ad Ankara non esploda a Bruxelles».

Un fiume di parole e minacce dettato dalla propaganda di Stato e che calpesta le radici della lotta armata kurda e dello storico movimento indipendentista. C’è da chiedersi per quale ragione un gruppo come Tak (movimento separatista kurdo che ha rivendicato gli ultimi due attacchi a Istanbul e Ankara) dovrebbe compiere azioni in territorio europeo.

Ma la strategia dell’auto-vittimizzazione e del male comune serve ad Erdogan per dire all’Europa che la Turchia ne è sua parte integrante, ne è bastione di difesa contro l’avanzata del terrorismo. Ankara è Bruxelles, questo è il messaggio di Erdogan, che gli garantisce la necessaria impunità sia contro la comunità kurda che contro opposizioni e stampa indipendente.

Non può evitare le critiche verbali (giovedì dopo il commissariamento del giornale di opposizione Zaman la Casa Bianca si è detta «preoccupata per l’interferenza nel settore dei media»), ma le sa facilmente schivare. Giovedì l’ultimo attacco indiretto alla stampa: il governo ha chiesto 23 anni di prigione per il fondatore del gruppo editoriale Dogan News (di cui hanno parte Cnn Turk, Hurriyet e Kanal D), con l’accusa di contrabbando di carburante e propaganda terroristica.

Mentre l’Europa si prepara a versare il dovuto per evitare di affrontare con senso di responsabilità l’emergenza rifugiati, nel sud-est della Turchia si mettono in piedi le celebrazioni per il Newroz, il Nuovo Anno kurdo. In bilico fino all’ultimo a causa della campagna militare in corso, dei lutti, il dolore e la devastazione che ha portato con sé, il Comitato Organizzatore sfida il divieto imposto dalle autorità turche e festeggia comunque. Una festa dimessa per la sofferenza che come un fardello ha colpito quasi ogni famiglia kurda, ma vissuta come estrema forma di resistenza al tentativo di annientamento della propria identità.

«La cosa giusta da fare è organizzare le celebrazioni per il Newroz, come è stato fatto per migliaia di anni. Molti despoti hanno provato a bandire il Newroz nel corso della storia, ma non ci sono mai riusciti. La gente lo ha difeso anche contro le più oppressive e crudeli amministrazioni», la reazione della sezione di Istanbul del partito pro-kurdo Hdp. Si scenderà in piazza anche nella capitale culturale turca, dove la festa e il fuoco «per l’uguaglianza e la libertà» si terrà in piazza Bakirkoy Pazar, nonostante il divieto del governatore.

A sud est le celebrazioni sono già cominciate, tra carri armati, coprifuoco e violenze: Sirnak ieri era di nuovo oggetto di lancio di missili da parte turca, scene simili a Nusaybin. La morsa governativa non si allenta e rischia di stringersi ancora di più dopo l’autonomia che giovedì il Pyd ha dichiarato nel Kurdistan del sud, nella Rojava siriana.

«[Questa soluzione] può servire come modello per il resto della Siria – si legge nel documento finale – Una futura Siria è per tutti i siriani». La dichiarazione contiene indicazioni sulla forma di governo di comunità, dall’amministrazione ad interim in attesa delle elezioni nazionali alla partecipazione paritaria delle donne nel processo decisionale, per chiudersi con il richiamo allo Stato: «La realizzazione di un sistema federale e democratico avrà luogo all’interno di una Siria sovrana».

Sfidando la macchina da guerra turca ma anche l’Onu che, piegata al volere di Ankara, ha escluso da Ginevra la rappresentanza kurda, il Pyd propone modelli alternativi a quelli internazionali. Di certo se ne sarà discusso molto dietro le quinte del negoziato svizzero. Nelle ultime ore l’inviato Onu de Mistura ha lamentato la persistenza di posizioni inconciliabili tra governo e opposizioni. Ieri ha incontrato di nuovo le delegazioni, dopo aver ringraziato la federazione delle opposizioni Hnc per aver presentato un piano di transizione. Dentro, però, c’è la solita precondizione: la cacciata del presidente Assad, inaccettabile per il governo.