Marce e sit-in – tutte con i cartelli con su scritto: «Noi conosciamo il nome dell’assassino» – hanno accompagnato il secondo giorno di sciopero generale, indetto da sindacati e ordini professionali in Turchia. A tre giorni dal doppio attentato contro i pacifisti presso la stazione di Ankara che ha causato 97 vittime, altri 53 feriti sono in condizioni davvero critiche, secondo il ministero della Salute. Nonostante i divieti delle forze di sicurezza, una delle marce che si è tenuta ad Istanbul è stata attaccata dalla polizia. Le forze dell’ordine hanno impedito ai manifestanti di seguire il percorso del corteo e raggiungere il luogo dell’iniziativa. Ieri mattina, molti contestatori sono stati fermati mentre stavano per salire sul traghetto Kadikoy-Eminonu che unisce la parte asiatica a quella europea della città. Poliziotti in borghese sono stati ripresi mentre strattonavano i manifestanti. Il condirettore dell’Ordine degli architetti e un esponente della Piattaforma di solidarietà con Taksim hanno reagito all’attacco della polizia.

Altri cortei si sono svolti a Cerrahpasa (vicino alla Facoltà di medicina) e Sirkeci, in due strade del quartiere di Fatih verso piazza Beyazit. Anche durante queste marce alcuni manifestanti sono stati arrestati dalla polizia. 1500 persone sono rimaste bloccate nel cortile dell’Ospedale della facoltà di Medicina. Anche nel corteo di Sirkeci, trenta uomini delle forze di sicurezza in borghese, insieme a squadre della polizia anti-sommossa, hanno circondato i contestatori che gridavano: «Erdogan assassino!», «Siamo in lutto, protesta e sciopero».

Numerose proteste contro il massacro di Ankara si sono svolte a Izmir, seconda città del paese, Malatya e Adana nel Sud-est. Qui la polizia ha usato ripetutamente gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti. Ad Antalya un gruppo di trenta avvocati è stato brutalmente attaccato. 150 persone sono accorse per fermare la violenza della polizia che ha disperso la folla.

Tra le mille polemiche per il lancio di lacrimogeni sui feriti, subito dopo l’attentato, da parte delle forze di sicurezza, il premier ad interim Ahmet Davutoglu starebbe per annunciare i nomi dei kamikaze di Ankara. Il leader Akp ha rivelato di avere anche tra le mani una lista di sedici sospetti kamikaze, tenuti sotto stretto controllo, contro cui non può però intervenire per le vie legali se non quando abbiano tentato di commettere un attentato suicida. «Se li arrestassimo prima che entrano in azione ci sarebbero ritorsioni», ha denunciato il premier.

I kemalisti di Kilicdaroglu non hanno gradito l’annuncio. E hanno chiesto l’avvio di procedimenti legali contro i sospetti terroristi. Chp ha fatto appello alla magistratura perché intervenga. Anche il numero due del partito nazionalista (Mhp), Oktay Vural, ha chiesto spiegazioni al governo sul mancato intervento per prevenire attentati kamikaze arrestando i sospetti. «È irragionevole che lo stato possa arrestare i giornalisti sospetti e non i terroristi», ha aggiunto.

In vista del voto del primo novembre, continuano le polemiche sulla ridistribuzione dei collegi elettorali nelle aree dove vige il coprifuoco e ci sono pericoli consistenti di incolumità dei cittadini. La Commissione elettorale (Ysk) aveva rifiutato lo spostamento di due seggi a Sirnak che sono però stati ugualmente riallocati. Questo potrebbe creare gravi disagi nell’espletamento del diritto di voto per gli elettori kurdi.

Le polemiche sono scoppiate in particolare perché a Cizre, città per nove giorni sotto assedio da parte delle forze di sicurezza turche, e roccaforte della sinistra filo-kurda (Hdp), non sarà allestito nessun seggio nei quartieri di Cudi, Nur e Sur. Simili decisioni sono state prese nei seggi di Hakkari, Silopi e Sirnak. Proprio ad Hakkari, dodici affiliati del Partito di Ocalan (Pkk) sono stati uccisi dalle forze di sicurezza in raid dell’aviazione turca al confine con Iran e Iraq. Le ragioni sono sempre legate a possibili attacchi dinamitardi durante il voto. La questione non sembra preoccupare i rappresentanti locali del Partito della pace e della Democrazia (Bdp), espressione amministrativa di Hdp, che contano sulla capacità di mobilitazione dei kurdi che il 7 giugno scorso si sono recati alle urne nonostante i gravi attentati di Diyarbakir. Anche i feriti avevano deciso in quell’occasione di andare a votare fasciati o in barella.

Infine, molti esponenti della sinistra turca hanno criticato l’accordo discusso da Erdogan a Bruxelles con Unione europea e governo tedesco per contenere la crisi dei rifugiati siriani. L’intesa con la Turchia (considerato un paese di approdo «sicuro» per i rifugiati secondo il testo dell’accordo) prevede procedure facilitate dei visti per i turchi che vogliano raggiungere l’Europea ma in realtà impedisce la mobilità ai rifugiati siriani, per la maggioranza kurdi, che resterebbero bloccati in Turchia in immensi centri di detenzione.