La polizia aveva già caricato le manifestazioni di protesta organizzate da sindacati e partiti della sinistra dopo la strage di martedì notte, a Istanbul, Ankara, Izmir e molte altre città della Turchia e ieri sera è stata la volta di Soma, la cittadina nell’ovest del paese dove si trova la miniera, già duramente colpita dalla strage che ha ucciso 283 minatori.
Poco prima della conferenza stampa del ministro dell’Energia Yildiz e quello dei Lavoro Celik, gli agenti hanno caricato il corteo di 5000 cittadini diretti verso la prefettura del paese dietro a uno cartello con scritto: «Nessun carbone potrà riscaldare il cuore dei padri dei ragazzi morti nella miniera», facendo uso di gas lacrimogeni, proiettili di gomma e getti d’acqua urticante sparati dai blindati.
Molti gli arresti, due i manifestanti e un giornalista feriti il bilancio degli scontri. La polizia è intervenuta anche a Izmir, la terza città del paese e a Istanbul per sgomberare gli studenti che avevano occupato la facoltà dell’Università tecnica (Itu).
Una tragedia annunciata come denunciano sindacati e esperti turchi la cui dinamica rimane ancora oscura. Ieri è partita l’inchiesta sul massacro con le prime deposizioni di sopravvissuti e testimoni e in serata due pm accompagnati da un gruppo di esperti sono riusciti a entrare nella miniera per i primi rilevamenti. Spetterà ai 29 magistrati incaricati oggi dall’Alto consiglio dei giudici e i pubblici ministero (Hysk), il Csm turco, accertare le cause dell’incendio e individuare eventuali negligenze nell’applicazione delle norme sulla sicurezza da parte dell’azienda.
Ieri mattina, a tre giorni dalla tragedia, per la prima volta i vertici della Soma Holding, l’azienda che gestisce gli scavi, sono apparsi davanti alle telecamere per dare la loro versione dell’accaduto. «Non c’è stata nessuna negligenza da parte nostra. Ho lavorato nelle miniere per 20 anni e non ho mai visto un incidendete simile», ha dichiarato il responsabile organizzazione dell’azienda Akin Celik.
Nel corso dell’animata conferenza stampa, a cui ha partecipato anche un gruppo di minatori con indosso l’elmetto, il padrone della miniera Alp Gurkan che ha escluso che l’incendio sia stato causato da un cortocircuito del sistema elettrico, non è però stato in grado di fornire informazioni chiare sulle vere cause dell’esplosione.
Gurkan si è detto, inoltre, intenzionato a riprendere la produzione dopo i controlli del caso.
La tensione è salita alle stelle dopo che più volte dirigenti dell’azienda hanno dato risposte elusive ai giornalisti che li interrogavano sulla presenza o meno di camere di sicurezza, aree con bombole d’ossigeno e riserve di cibo dove i minatori possono rifugiarsi sopravvivendo per giorni obligatorie in molti paesi.
«Non era presente una camera di sicurezza nella miniera», ha ammesso alla fine il direttore del settore minerario Ramazan Dogru che ha spiegato che, tuttavia, come fosse in corso la costruzione di una struttura di questo tipo: «Se questo incidente fosse avvenuto tra tre o quattro mesi, queste persone si sarebbero salvate per la presenza di una camera di sicurezza» ha dichiarato Gurkan che dovrà rendere conto dell’accaduto davanti al collegio di disciplina dell’Ordine degli ingegneri minerari turchi come reso noto della stessa organizzazione in un comunicato diffuso ieri pomeriggio.
Sul fronte politico ieri mattina, il portavoce dell’Akp Huseyin Celik, nel corso di una conferenza stampa ad Ankara ha difeso il consigliere del premier Yusuf Erel immortalato mentre durante la visita di Erdogan mercoledì a Soma prendeva a calci un contestatore mentre due agenti lo tenevano fermo.
La foto dell’aggressione è finita sulle pagine dei giornali di tutto il mondo e condivisa da centinaia di migliaia di persone sui social network tuttavia secondo Celik: «Non è possibile capire come sono andate veramente le cose da una fotografia Erel ha detto che la persona che ha preso a calci l’aveva attaccato, insultandolo».
Celik inoltre ha criticato duramente opposizione e sindacati che sono scesi in piazza in questi giorni colpevoli «di strumentalizzare una disgrazia nazionale a fini politici».