Grande vittoria per il Partito della giustizia e dello sviluppo (Akp) al voto anticipato del primo novembre. Ma soprattutto grande rivincita per il presidente Recep Tayyip Erdogan, ancor più vicino all’obiettivo di trasformare il sistema di governo turco da parlamentare a «presidenziale alla turca», con la conseguente concentrazione del potere nelle mani di un solo uomo, le sue.
Si tratta tuttavia di un risultato inaspettato per lo stesso partito islamista conservatore che quasi tutti i sondaggi elettorali indicavano al di sotto della percentuale necessaria per formare un governo monocolore. E invece l’Akp ce l’ha fatta, ottenendo il 49,9% delle preferenze e riuscendo a portare in parlamento ben 317 deputati. Il quotidiano filo-governativo Sabah l’ha definita «una rivoluzione dei seggi», mentre il giornale conservativo moderato Yeni Safak l’ha chiamata una «magnifica vittoria». Per l’opposizione, sbaragliata, si tratta invece della «vittoria della paura». Una paura dovuta agli ultimi cinque mesi, dove nel Paese la tensione, le violenze e la polarizzazione hanno fatto da sovrani.

La necessità di riportare «stabilità» e «sicurezza» sembrano dunque aver pesato più di tutto nella scelta dell’elettorato, che nelle precedenti consultazioni non si trovava a dover fare i conti con gli scontri del Pkk (Partito dei lavoratori del Kurdistan) e l’esercito turco, ripresi da luglio dopo oltre due anni di interruzione. Allo stesso modo, non si erano ancora verificati i due attentati kamikaze più sanguinosi della storia turca (con oltre cento morti) a Suruç e Ankara, rispettivamente nel luglio e nell’ottobre scorsi. Inoltre la polarizzazione della società non si era tradotta in manifestazioni di strada, con attacchi fisici perpetrati contro i cittadini curdi e membri della stampa, o per lo meno, non a questi livelli.

Cinque mesi di estrema tensione che hanno portato all’Akp 5 milioni di voti in più, portandolo al governo da solo per la quarta volta. Ma resta un dato di fatto che l’opposizione, con tutte le limitazioni che ha dovuto affrontare riguardo alla mancanza di fondi e alle campagne elettorali, non è riuscita a utilizzare a proprio favore il vantaggio ottenuto alle elezioni del 7 giugno scorso, dove aveva composto un blocco del 60%. Il Partito di azione nazionalista (Mhp)sembra il primo ad aver fatto le spese dell’atteggiamento disfattista degli ultimi mesi. I lupi grigi, che si sono opposti a ogni formula di accordo con il Partito repubblicano del popolo (Chp, seconda formazione politica del Paese) «se supportata dal Partito filo-curdo democratico dei popoli (Hdp)» hanno perso quota in 58 province su 81. Il risultato è un calo di 4 punti percentuali (confluiti a favorire l’Akp) rispetto al 16% ottenuto a giugno e soli e il dimezzamento del numero di deputati all’Assemblea (passati da 80 a 41).

Ma ad accrescere i voti dell’Akp, oltre ai nazionalisti e in misura minore gli elettori dei piccoli partiti ultranazionalisti e islamisti, sono stati anche i kurdi. Kurdi conservatori e delle metropoli che dopo aver supportato l’Hdp alle precedenti elezioni, sono tornati a votare l’Akp. Nelle province sudorientali a maggioranza kurda, che numerose sono pur rimaste roccaforti della formazione filo-kurda, si è registrato un calo del 3% delle preferenze Hdp. Un risultato che, secondo le prime analisi, sarebbe una reazione al Pkk e al fatto che abbia ripreso i combattimenti, nonché una dimostrazione di come l’Hdp sia rimasta in mezzo al fuoco incrociato del Pkk e dello Stato.

Una minore perdita di voti dell’Hdp si è registrata anche nelle grandi città occidentali – soprattutto a Istanbul, che aveva influito grandemente sul risultato del 13% delle elezioni passate. Il risultato finale, magro, del 10,7%, è arrivato dopo aver rischiato di restare sotto lo sbarramento elettorale – un obiettivo rincorso apertamente dai rappresentanti dell’Akp, e tuttavia non riuscito. In tal modo l’Hdp ha ottenuto 59 deputati in parlamento, diventando comunque la terza rappresentanza politica del Paese.

L’unico partito immobile, rispetto al risultato di giugno, è il Chp che ha ottenuto il 25,4% dei voti, portando in parlamento 134 deputati (due in più rispetto alla tornata elettorale precedente). E qualche roccaforte persa comunque a favore dell’Akp, che ha guadagnato quota in ogni singola provincia.

Ora le domande si concentrano sui possibili scenari dettati dal nuovo governo Akp. I quotidiani filo-governativi tendono a leggere l’esito delle consultazioni come un’approvazione dei cittadini del progetto presidenziale di Erdogan. Ma per portare – per lo meno – ad un referendum popolare un emendamento costituzionale in tal senso, sarebbero necessari almeno 330 seggi.

Secondo alcuni analisti questo «ostacolo» potrebbe essere superato attraverso il «trasferimento» o l’«appoggio esterno» di alcuni parlamentari delle formazioni politiche opposte. Altri, invece, pensano che questo voto sarà un nuovo «avvallo popolare» per il presidente Erdogan, che nelle settimane scorse ha dichiarato il passaggio «al sistema presidenziale di fatto» avvenuto nel Paese, nel momento in cui è stato eletto presidente a suffragio universale per la prima volta.

Una delle questioni più importanti per il Paese resta ancora la risoluzione della questione kurda. Una questione che ha prodotto oltre 30mila morti in 40 anni di scontri e che sembrava arrivare una risoluzione nei tre anni di colloqui portati avanti dal governo turco e dal movimento politico kurdo – sotto le indicazioni del leader Pkk Abdullah Öcalan.

Ora, resta da vedere se la «stabilità» prospettata per il futuro della Turchia da Erdogan e dal premier Davutoglu include anche la ripresa dei negoziati sospesi. Nonostante la «demonizzazione» dell’Hdp – che all’indomani delle elezioni ha ribadito il suo impegno per la pace – da parte del governo non sembri destinato a cessare in termini brevi, la presenza parlamentare dell’Hdp risulta il suo impegno per la pace cruciale per esprimere la pluralità del Paese.