Ormai è evidente. Ankara e Damasco andranno alla guerra aperta se Vladimir Putin non interverrà per riportare la calma tra l’alleato Bashar Assad e il «partner strategico» Recep Tayyip Erdogan. Il presidente turco ieri ha assicurato che continuerà l’offensiva contro l’esercito siriano dopo l’attacco avvenuto due giorni fa nella provincia siriana di Idlib, costato la vita ad almeno cinque (forse sei) militari turchi, il ferimento di altri nove e l’uccisione di tre civili. Attacco al quale le forze turche hanno risposto colpendo una quarantina di obiettivi siriani «neutralizzando», ossia uccidendo e ferendo, oltre 30 soldati siriani. «Abbiamo risposto a questi attacchi e continueremo a farlo, sia con la nostra artiglieria che con i mortai. Siamo determinati a continuare le nostre operazioni per la sicurezza del nostro paese, della nostra gente e dei nostri fratelli in Idlib. Coloro che mettono in dubbio la nostra determinazione capiranno presto di aver fatto un errore», ha avvertito Erdogan. Poco dopo è intervenuto il ministro degli esteri russo, Sergej Lavrov che, smentendo indirettamente chi afferma che la «cooperazione» tra Mosca e Ankara sia sul punto di terminare, ha fatto sapere di aver discusso il «processo di pacificazione della Siria» con il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu riaffermando il rispetto delle intese raggiunte in passato.

 

A Idlib, nelle mani dei gruppi jihadisti e qaedisti anti-Assad, l’esercito governativo ha lanciato nei mesi passati, con l’appoggio dell’aviazione russa, un’offensiva che ha innescato una nuova ondata di profughi che si riversano verso la frontiera con la Turchia (che già ospita oltre tre milioni di rifugiati siriani). Damasco intende recuperare anche questa porzione di territorio nazionale che le intese di Sochi tra Putin ed Erdogan di fatto hanno messo sotto il controllo delle forze turche. Mosca è favorevole ai piani degli alleati siriani senza sconfessare allo stesso tempo gli accordi con la Turchia.

 

L’esercito di Erdogan ha 12 punti di osservazione attorno a Idlib. L’ultima escalation è arrivata dopo che la Turchia ha spostato un convoglio militare nell’area attorno alla città di Saraqeb. Le truppe del presidente Assad stanno intensificando proprio in quella zona la campagna per prendere le aree controllare dai jihadisti. Nelle ultime ore hanno liberato altri sei villaggi e i quartieri occidentali di Saraqeb. La riconquista di questa città costituirebbe una vittoria strategica per Damasco, che ha già preso il 40% della provincia di Idlib. Saraqeb si trova lungo l’intersezione di due importanti arterie stradali: l’autostrada M5 che collega la capitale ad Aleppo, la seconda città del paese, e la M4 che congiunge Aleppo a Latakia sulla costa mediterranea. La caduta di Idlib tuttavia non significherebbe la fine della guerra. Buona parte delle importanti province di Aleppo e Hama restano soggette alle scorribande dei miliziani di Hayat Tahrir al Sham, il ramo siriano di Al Qaeda, e di altre formazioni islamiste sponsorizzate dalla Turchia e da vari paesi arabi nemici di Assad.

 

Prosegue nel frattempo la fuga di migliaia di civili dai combattimenti. Uomini, donne e bambini che spesso restano coinvolti nei bombardamenti. La scorsa settimana, secondo alcune fonti poi smentite da Mosca, missili russi avevano raggiunto un ospedale da campo e una panetteria ad Ariha. Secondo i dati, non verificabili in modo indipendente, dell’agenzia di stampa turca Anadolu, almeno 1.300 civili hanno perso la vita dal settembre del 2018. Solo nell’ultima settimana sarebbero rimasti uccisi 400 miliziani jihadisti, soldati dell’esercito siriano e civili.