Oggi pomeriggio il parlamento europeo discuterà con l’Alto rappresentante della politica estera dell’Ue Federica Mogherini dell’offensiva turca contro l’enclave curda di Afrin, ma anche dello stato della libertà di stampa in Turchia e della repressione di cui sono vittime gli oppositori e gli attivisti di diritti umani come Taner Kilic, il presidente della sede turca di Amnesty international scarcerato il 31 gennaio dopo otto mesi di reclusione e subito riarrestato. Al termine della discussione, previsto per giovedì, verrà votata una risoluzione che quasi certamente condannerà la Turchia.

Sarà solo l’ultima presa di distanza dell’Ue da Ankara per la repressione messa in atto dal regime all’indomani del fallito colpo di stato del luglio 2016 e che ancora vede incarcerati migliaia di oppositori e almeno 150 giornalisti.

Ieri invece l’Olanda ha annunciato il ritiro del proprio ambasciatore ad Ankara vista l’impossibilità di normalizzare i rapporti con la Turchia dopo la crisi seguita, dieci mesi fa, al divieto per i ministri turchi di tenere nel Paese comizi a favore del referendum presidenziale turco. Sempre ieri, infine, il premier austriaco Sebastian Kurz – a cui da luglio spetterà la presidenza Ue – ha annunciato che chiederà di ridiscutere «le centinaia di milioni» di euro stanziati dall’Europa per il riavvicinamento della Turchia.

Recep Tayyip Erdogan può alzare la voce quanto vuole, ma la strada che dovrebbe portare la Turchia in Europa è sempre più in salita. «Per ballare il tango bisogna essere in due ma la Turchia si sta muovendo nella direzione opposta» a quella che dovrebbe facilitare il processo di adesione, ha detto ieri un portavoce della Commissione Ue. Tra i motivi che hanno portato il presidente turco a Roma c’è anche quello di premere perché il governo italiano favorisca la ripresa di quel processo, congelato ormai da mesi. Finora palazzo Chigi ha sempre evitato di schierarsi per il blocco delle trattative, ma in Europa non tutti la pensano così. Il presidente francese Emmanuel Macron, ad esempio, non più tardi di un mese fa ha gelato le ambizioni di Erdogan dicendo chiaro e tondo che «Ankara non può stare nell’Ue» se non impara a rispettare libertà fondamentali come quella di espressione. E come Parigi la pensano anche Danimarca, Austria, Paesi Bassi e Germania, che nelle carceri turche ha anche alcuni suoi cittadini. Lo stop definitivo arriverà probabilmente ad aprile, quando la Commissione presenterà l’ultimo rapporto sui progressi compiuti dalla Turchia per quanto riguarda il rispetto dello stato di diritto. E stando dalle indiscrezioni che filtrano da Bruxelles non saranno buone notizia per Erdogan.

Nei giorni scorsi la Turchia ha provato ad abbassare i toni proponendo l’istituzione di una commissione che discuta la possibilità di arrivare almeno alla liberalizzazione dei visti per i cittadini turchi, ma le buone intenzioni sono durate poco visto che da tempo Bruxelles pone come condizione per poter procedere una modifica della legge antiterrorismo, cosa della quale Erdogan non vuole neanche sentir parlare come ha confermato domenica in un’intervista al quotidiano la Stampa definendo «ostacoli artificiali» i rilievi europei.

In mezzo tra Bruxelles e Ankara c’è anche l’accordo sui migranti siglato nel 2016 e che ha portato alla chiusura della rotta balcanica in cambio di sei miliardi di euro dati (in parte) ad Ankara. «La Turchia resta un partner importante, con cui abbiamo un accordo importante sui migranti senza il quale ci sarebbe una nuova crisi n Europa», ha avvertito il premier bulgaro Boyko Borissov che vuole organizzare un incontro in Bulgaria tra le istituzione europee e Erdogan. Il rischio che Ankara faccia saltare l’accordo sui migranti c’è, ma sembra essere relativo visti gli importanti scambi commerciali tra Unione europea e Turchia e i numero crescente di imprese europee che investono nel Paese.