Erano in migliaia ieri nel centro di Ankara a protestare per l’arresto del deputato del partito di opposizione turco Chp Enis Berberoglu, condannato mercoledì a 25 anni di prigione per spionaggio.

A monte una storia già nota, la stessa che aveva condotto nel novembre 2015 alla detenzione del direttore e del caporedattore di Cumhuriyet, Can Dundar e Erdem Gul: la pubblicazione di un reportage, a maggio del 2015, che mostrava la consegna di armi dai servizi segreti turchi del Mit a gruppi islamisti attivi in Siria, forse allo Stato Islamico.

Berberoglu è accusato di aver fornito al quotidiano, di cui è stato direttore dal 2009 al 2014, il video della consegna al confine e di aver «rivelato per fini politici e militari informazioni di Stato che devono restare segrete».

Per questo è stato condannato a un quarto di secolo e privato dei diritti politici, sollevando le proteste del suo partito e dei sostenitori che parlano di «sentenza politica» emessa da giudici vicini all’entourage di Erdogan: ieri nella capitale migliaia di persone hanno lanciato la «Marcia per la Giustizia», 24 giorni e 450 km di camminata da Ankara a Istanbul fino alla prigione di Malpete, dove il deputato è detenuto.

E mentre arrivava la notizia che la corte penale di Istanbul aveva rigettato la richiesta di scarcerazione del deputato repubblicano, il leader del Chp Kilicdaroglu arringava la folla: la marcia «non riguarda un partito politico, viviamo sotto un’amministrazione autocratica nata con il golpe del 20 luglio». Il riferimento è all’entrata in vigore dello stato di emergenza, 5 giorni dopo il fallito putsch del 15 luglio 2016.

Da allora oltre 130mila dipendenti pubblici e non sono stati sospesi dagli incarichi, poliziotti, soldati, giudici, accademici, e 40mila persone sono state arrestate (tra loro 150 giornalisti). Dietro le sbarre, dal 4 novembre scorso, restano anche 11 deputati del partito di opposizione Hdp, tra cui i leader Demirtas e Yuksekdag su cui pesano accuse per centinaia di anni di prigione.

Dalle corti turche escono anche le prime sentenze, in relazione al tentato colpo di stato: ieri 23 soldati sono stati condannati all’ergastolo per la partecipazione al golpe, accusati di «tentativo di rovesciare l’ordine costituzionale».

Ma quella dei 23 soldati non è stata la sola sentenza di ieri: ad Ankara Aydin Sefa Akay, giudice del Meccanismo per i Tribunali Criminali Internazionali delle Nazioni Unite, è stato condannato a sette anni e sei mesi per «appartenenza a organizzazione terroristica», ovvero per legami con la rete dell’imam Gülen. Arrestato lo scorso settembre, Akay ha dovuto interrompere le indagini sul genocidio in Ruanda.