Storia di una bambina che giocava alla principessa crudele. Storia di una bambina che deve diventare grande. Accidentalmente la bambina è un’eroina di Puccini, Turandot, che regna in uno strano futuro vintage, fra Dick Tracy , Batman e il treno ‘classista’ del film Snowpiercer. Nel progetto di Ricci/Forte al Macerata Opera Festival l’alter ego psicanalitico del regista Stefano Ricci è proprio Turandot. Sin dall’inizio si aggira in palcoscenico organizzando la ritualità di sogni, paure (il principe di Persia muore sotto forma di bambini ammazzati e ibernati, quasi fossero ovuli) e vanità, pavoneggiandosi in groppa a un gigante orso polare. Un susseguirsi di incubi, fra ministri clown -scena riuscitissima – uomini topo e tiratori scelti. Incubi che iniziano a sciogliersi, non solo metaforicamente, insieme agli enigmi, lasciando la principessa senza corona in una pozza bagnata.

Dopo aver pianto la morte di Liù, che provvede a togliere di mezzo con una pistolettata, il cerchio si chiuderà: la bambina diventa una ragazza «normale», cappotto e anfibi, e si avvia alla vita senza fantasie principesche ma con il conforto dell’amore, libera dalla paura.«Chi ha paura muore ogni giorno», recitano sul finale i cartelli del coro, citando Borsellino e strappando l’applauso di un pubblico più felicemente incuriosito che irritato. Chi non ama le iperboli visive di Ricci/Forte soffrirà il guazzabuglio dei loro vezzi, tuttavia lo spettacolo restituisce bene l’atmosfera di morte, la favola crudele di Turandot come allucinazione e non come dramma realistico, tenta un’originale declinazione contemporanea del floreale, quantomeno senza orride cineserie.

Il pubblico applaude con generosità insieme Rudi Park, Calaf, Davina Rodriguez, Liù, Alessandro Spina. Timur, anche se, tolta forse la tonante Irene Theorin, nessuno lascia davvero il segno. Pier Giorgio Morandi fatica a disciplinare coro e orchestra, alla ricerca di una lettura più sfumata e meno stentorea del consueto. L’oriente però non è mai uno solo e così il Macerata Opera Festival si sbizzarrisce con ben quattro titoli, accostando alla nuova Turandot, Butterfly, Aida ( regia del direttore artistico Micheli) e una nuova creazione di Carlo Boccadoro. Al Teatro Lauro Rossi infatti impariamo il cinese con Matteo Ricci e scopriamo che «Sh» vuol dire «Si faccia».

Cecilia Ligorio, ottima regista e librettista, ci fa intravedere una Cina lontanissima, raccontata attraverso il lavorio intellettuale e la disciplina incrollabile dei saperi del gesuita maceratese Matteo Ricci, vissuto alla corte cinese e premiato nel 1610 con la sepoltura nel celeste impero, per volere del sovrano. Boccadoro e Ligorio scompongono Ricci in tre voci, due cantanti ( Roberto Abbondanza e Bruno Taddia) e una voce recitante, Simone Tangolo. Anche la partitura è multiforme: la voce recitante e i brevi passaggi di declamato raccontano il viaggio, le lettere, le paure, l’astronomia, la corte imperiale e infine la morte di Matteo. Spettacoli scena fino a 13 agosto, con alcune repliche che sfiorano il sold out.