La Tunisia vive una seconda ondata di mobilitazioni per chiedere conto dei 1.200 arresti arbitrari avvenuti in queste settimane e protestare contro il rimpasto di governo voluto dal premier Hichem Mechichi.

Nonostante il lockdown dovuto all’epidemia di Covid-19, dal 15 al 20 gennaio il paese è stato attraversato da numerose manifestazioni notturne. Per cinque giorni si sono registrati scontri con la polizia nelle principali città della costa e dell’entroterra. Le organizzazioni della società civile hanno denunciato il comportamento delle forze dell’ordine e le modalità dei fermi, avvenuti principalmente di giorno e senza garanzie legali, che hanno interessato soprattutto i minori.

IN SEGUITO IL PAESE ha vissuto tre giorni di calma apparente, salvo poi riaccendersi da lì a poco. Sabato 23 gennaio più di mille persone si sono ritrovate in avenue Bourguiba, nel pieno centro di Tunisi. «Abbiamo fatto la Rivoluzione nel 2011. Siamo scesi in piazza per anni e non è successo niente. Siamo qui oggi e continueremo a esserci fino a quando non cambierà qualcosa in questo paese», dice Sirine, una ragazza di Kasserine che dieci anni fa non ha vissuto la Rivoluzione perché troppo giovane.

La manifestazione ha toccato i luoghi simbolo del vecchio regime e di chi lotta ancora con le ferite del passato. Di fronte alla Banca centrale della Tunisia e all’Istanza dei martiri e dei feriti della Rivoluzione sono riapparsi i vecchi slogan rivoluzionari. Sono il segnale di un malessere che coinvolge le aree marginalizzate della capitale e dl Paese.

A Sbeitla, città dell’entroterra tunisino, è stata registrata la prima vittima. Si tratta di Haikel Rachdi, un giovane manifestante colpito da un lacrimogeno alla testa e deceduto lunedì 25 gennaio. La notizia ha causato la ripresa degli scontri notturni nell’area.

SCONTRI CHE SONO ALL’ORIGINE anche della marcia di ieri a Cité Ettadhamen, una delle aree più periferiche della capitale, per richiedere il rilascio degli arrestati. Qui per giorni le proteste notturne sono state continue, così come gli arresti. Centinaia di persone hanno deciso di intraprendere una marcia pacifica in direzione dell’Assemblea dei rappresentanti del popolo (ARP) al Bardo, dove un’altra manifestazione era impegnata a contestare Hichem Mechichi e la sua nuova compagine di governo.

La marcia è stata fermata dopo pochi chilometri da un ingente schieramento di forze dell’ordine. Molti i minorenni presenti. Mohamed Aziz ha 16 anni e in poche parole riassume la situazione della sua municipalità: «Qui non c’è niente e non ci sono speranze». Tra le mani però tiene un cartello con scritto in inglese: «Lotta oggi per un domani migliore».

Nel frattempo, a una manciata di chilometri da dove la marcia si è bloccata, il Bardo è completamente militarizzato e i poliziotti sorvegliano ogni accesso alla zona del parlamento, sotto l’occhio vigile di blindati e cannoni ad acqua. Alla fine circa mille persone sono riuscite a ritrovarsi vicino all’Assemblea dei rappresentanti del popolo, molte altre sono state fermate preventivamente.

A POCHE CENTINAIA DI METRI dalla manifestazione il parlamento è impegnato a discutere il rimpasto voluto dal premier Mechichi. Tra i posti chiave interessati ci sono il ministero degli Interni, uno dei luoghi meno riformati dopo la cacciata di Zine El-Abidine Ben Ali nel 2011, e il ministero della Sanità per non avere saputo gestire al meglio la pandemia di Covid-19.

Tra i manifestanti c’è Fouad, di poche parole ma con le idee molto chiare: «Siamo qui per chiedere i nostri diritti. Oggi non abbiamo più paura di scendere per strada anche se questa è la sola differenza rispetto a prima. Per il resto non è cambiato nulla, sappiamo bene che ci sono stati 1.200 arresti. Oggi comunque resta una bella giornata, ci sono molti giovani che non hanno visto il 2011».