L’8 marzo delle donne tunisine si celebrerà il 10 con una grande manifestazione nazionale per rivendicare l’uguaglianza nell’eredità. Una richiesta veramente rivoluzionaria perché in nessun paese musulmano la donna ha diritto alla stessa eredità dei maschi, ma solo alla metà, com’ è scritto nel Corano.

A sette anni dal suo inizio la rivoluzione tunisina continua a essere «femmina». Il tabù è stato sfidato dallo stesso presidente Beji Caid Essebsi, lo scorso 13 agosto in occasione di un’altra festa della donna tunisina, quando ha promesso la parità nell’eredità e la possibilità anche per la donna di dare il proprio cognome ai figli. È stata allora nominata una Commissione delle libertà individuali e dell’uguaglianza, presieduta da Bochra Bel Haj Hmida da sempre impegnata nella difesa dei diritti delle donne, che dovrà preparare una proposta di legge da sottoporre al presidente e che sarà poi portata in parlamento. La proposta doveva essere presentata il 20 febbraio, ma la scadenza è stata rinviata dopo le elezioni comunali del 6 maggio, per permettere una maggiore discussione.

Nel frattempo altre misure importanti sono state adottate in Tunisia: la possibilità per le donne di sposare un non musulmano, finora era proibito. All’uomo, in tutti i paesi musulmani, è concesso sposare una donna non musulmana purché appartenga a una religione del libro (cristiana o ebrea). In parlamento, nell’ottobre dello scorso anno, è passata anche una legge contro le molestie sessuali e l’abolizione del matrimonio riparatore nel caso di una donna stuprata. Nell’eliminare il matrimonio riparatore la Tunisia ha aperto la strada immediatamente seguita dalla Giordania e dal Libano.

Ma la partita più importante si gioca sull’eredità, infatti la decisione del presidente tunisino ha provocato una levata di scudi da parte di tutte le istituzioni religiose e degli islamisti. Gli ulema di al Azhar, la massima autorità sunnita con sede al Cairo, hanno dichiarato che l’uguaglianza nella successione «non è un soggetto discutibile», che «contraddice le disposizioni dell’islam» e che l’eredità nell’islam è stata definita dalla Sharia e «non lascia nessun margine all’incertezza». Gli stessi ulema sono intervenuti sulla possibilità di sposare un non musulmano sostenendo che «comporterebbe un rischio per la stabilità del matrimonio» invece la poligamia, per i dottori in islam, evidentemente rafforza il rapporto. Comunque in Tunisia la poligamia è già stata abolita da Bourghiba con il codice di famiglia entrato in vigore nel 1957, che ha permesso alle donne tunisine di vantare diritti che in altri paesi musulmani sono ancora un miraggio.

Lo scontro sull’eredità è molto duro anche all’interno della Tunisia. Alcuni si limitano a dire che è prematuro o che ci sono altre priorità, altri invece sono più decisamente contro. Il 5 marzo la tv Zeituna ha invitato alla trasmissione «la sharia è la strada» Hanan Khmiri, avvocata e dirigente di un partito islamista radicale, Hizb Ettahrir. L’avvocata ha definito i membri della

Commissione delle libertà individuali e dell’eguaglianza che preparano le riforme «ignoranti» e «malati» che vogliono «sradicare l’islam dal paese diffondendo la dissolutezza e allontanando la famiglia e la donna dalla religione». Le persone che sostengono la riforma per Hanan Khmiri sono «occidentali» e vogliono «dividere la società». E, per lei, il presidente della repubblica Béji Caid Essebsi non è altro che «un servitore dei coloni». Khmiri non conosce mezzi termini: per un gay che aveva subito un’aggressione omofoba, da lei definito un «criminale», ha proposto che fosse buttato giù «dall’edificio più alto della città», sull’esempio dei taleban e dello stato islamico.

Senza arrivare a queste posizioni estreme, gli ostacoli sono comunque molti, tanto che, secondo alcune indiscrezioni, la commissione proporrebbe la possibilità per la moglie di scegliere al momento del matrimonio se vuole la parità nella successione oppure vuole attenersi alla Sharia.

Ma le donne che scenderanno in piazza il 10 – e che hanno ottenuto anche l’appoggio da movimenti di donne a livello internazionale – non vogliono compromessi sotto forma di donazioni, di testamento o altro. E si rifanno al grande filosofo arabo, vissuto nove secoli fa, Averroé, che criticava la situazione di dipendenza in cui era tenuta la donna che non poteva così esprimere le proprie capacità che avrebbero potuto contribuire alla vita della comunità. E questo lo diceva all’epoca in cui ci si chiedeva ancora se la donna avesse un’anima. Un richiamo anche al precursore del movimento delle donne egiziane, un secolo fa, Taha Hussein, che sosteneva: «Solo le donne emancipate garantiranno generazioni di uomini liberi».

La lotta delle donne tunisine sarà: per l’eguaglianza nella legge, davanti alla legge e per la legge.