Passate le 48 ore (fin qui) più lunghe della sua storia democratica, la Tunisia deve ora fare i conti con i posizionamenti degli attori in campo e gli scenari futuri di cosa sarà il paese nelle prossime settimane. Domenica 25 luglio, al termine di lunga giornata di manifestazioni più o meno violente, il presidente della Repubblica Kais Saied ha deciso di applicare l’articolo 80 della costituzione facendo cadere il governo di Hichem Mechichi e congelando le attività parlamentari per almeno 30 giorni.

Saied ha quindi su di sé il potere esecutivo e legislativo. Sono arrivati anche i primi provvedimenti: coprifuoco notturno dalle 19 alle 6, divieto di creare assembramenti di più di tre persone in luoghi pubblici e impossibilità di spostamento tra città se non per ragioni di necessità o urgenza sanitaria. Decisioni, queste, che sono state prese ufficialmente per contenere la quarta ondata di Covid-19 ormai fuori controllo, con le terapie intensive piene e una media di 150 decessi al giorno per un paese che conta 12 milioni di persone.

Tali misure dureranno almeno fino al 27 agosto, data che già adesso si preannuncia rivelatrice sulle reali intenzioni del presidente della Repubblica. Tra un mese infatti la corte costituzionale si dovrebbe pronunciare sullo stato di straordinarietà che ha portato Saied ad applicare l’art. 80 dopo mesi di tensioni politiche, scontri aperti con il partito di ispirazione islamica e di maggioranza Ennahda e una crisi economica e sociale senza precedenti.

La corte, che doveva essere creata nel 2015, non esiste. Questo aspetto (oltre a mostrare tutte le fragilità della Tunisia istituzionale) ha portato fin da subito diversi attori della società civile, sindacati e partiti politici a chiedere alla presidenza un foglio programmatico con tutte le tappe necessarie per riportare il paese sui binari democratici. In primis l’Ugtt, il sindacato più importante del paese, che ha fatto appello alle garanzie costituzionali presenti nel testo promulgato nel 2014.

Da canto suo l’ex premier Hichem Mechichi ha rilasciato nella tarda serata di lunedì un comunicato con cui dichiara di non volersi opporre alla decisione del presidente e di favorire in ogni modo una transizione pacifica dei poteri con il nuovo primo ministro che nominerà Saied.

Ennahda invece non ha usato gli stessi toni. Dopo avere ritirato i suoi sostenitori di fronte al parlamento presidiato dai militari, dove si sono registrati scontri fino a lunedì mattina con i seguaci del presidente, il partito vicino ai Fratelli musulmani ha apertamente parlato di colpo di Stato; puntato il dito contro le decisioni della presidenza ma, allo stesso tempo, ha fatto appello all’unità nazionale ringraziando i militari per il mantenimento dell’ordine pubblico. Anche il parlamento si è mostrato spezzettato come d’abitudine nell’appoggiare o meno il rovesciamento politico in atto a Tunisi.

Kais Saied, oggi, è l’uomo forte della Tunisia. Docente di diritto costituzionale, famoso per la sua freddezza che gli è valso il soprannome di «Robocop» in patria e per la difficile comprensione per la sua abitudine a parlare in arabo classico, si è difeso rispedendo al mittente ogni accusa di colpo di Stato. Dopo avere dichiarato di avere preso questa decisione per salvare il paese, ha poi rincarato la dose: «A chi pensa di ricorrere alle armi e di sparare proiettili, le forze armate risponderanno con i proiettili».

L’incertezza interna della Tunisia si è palesata anche nelle dichiarazioni della comunità internazionale e dei paesi con un occhio di riguardo al piccolo Stato nordafricano. L’Unione europea ha chiesto di preservare le radici democratiche del paese, mentre il segretario di Stato americano Antony Blinken ha avuto un colloquio telefonico con Saied. Sul fronte delle condanne la Turchia si è schierata con Ennahda, partito storicamente vicino al presidente Erdogan. Alla conta però manca ancora uno degli attori regionali più importanti: l’Egitto.