Il premier tunisino Elyes Fakhfakh, indebolito in queste settimane da un caso di conflitto di interessi, si è dimesso mercoledì 15 luglio sotto la pressione del partito islamista di maggioranza Ennahdha. «Per evitare conflitti tra le istituzioni del paese», ha scritto l’ufficio stampa del premier.

Fakhfakh, in carica dal 27 febbraio, è stato aspramente criticato dalla formazione islamista per non aver ceduto la gestione delle sue azioni in una società – consociata della Total – che ha vinto importanti appalti pubblici di servizi igienico-sanitari in aprile e per le successive accuse di «corruzione e conflitto di interessi».

Dopo un primo periodo di «concordia nazionale», legata alla gestione della pandemia da Covid-19, il premier ha cercato questo lunedì di forzare le cose «richiedendo un nuovo rimpasto di governo e tentando di estromettere i sei ministri di Ennahdha dal governo». In risposta il partito islamista ha presentato una mozione di sfiducia nei suoi confronti, dopo aver richiesto insistentemente in queste settimane, con esito negativo, un allargamento della coalizione di governo con l’ingresso del partito Qalb Tounes (guidato dal controverso magnate tunisino Nabil Karoui) e dell’altra formazione islamista di Al Karama, partiti arrivati rispettivamente secondo e quarto nelle elezioni legislative dello scorso ottobre.

Una mossa utilizzata dal partito islamista, come riporta il quotidiano online Kapitalis, per riconfigurare un governo dal quale si sentiva «emarginato e minoritario», pur essendo la prima forza politica in parlamento con 54 dei 217 seggi parlamentari. Ennahdha non era riuscito a raccogliere, nello scorso gennaio, la maggioranza attorno a un primo ministro di sua scelta. Un fallimento che aveva lasciato campo aperto al presidente Kais Saied, candidato indipendente, di nominare Fakhfakh per formare una coalizione che rivendicava «i valori della rivoluzione» e riluttante a compromessi partigiani cari a Ennahdha.

Le dimissioni del premier tunisino mettono in evidenza le forti frizioni di questi mesi tra il presidente della repubblica Kais Saied e il presidente del parlamento e leader di Ennahdha, Rachid Ghannouchi. Tensioni legate all’attuazione delle tanto richieste riforme economiche e sociali – in un paese devastato da povertà e disoccupazione, accentuate ancor più dalla pandemia – ma soprattutto dalla politica estera e dal vicino conflitto in Libia. Da una parte Saied ha sempre ribadito «la neutralità della Tunisia», mentre Ghannouchi ha sostenuto l’alleanza turca e le milizie che lottano a fianco del Governo di Accordo Nazionale (Gna) di Tripoli, presieduto dal premier Fayez al-Sarraj.

Le dimissioni di Fakhfakh mettono ancora una volta il presidente Saied al centro del gioco politico nazionale visto che dovrà nominare, in base alla costituzione, un nuovo primo ministro entro dieci giorni. Una vera e propria sfida. Le ultime legislative, infatti, hanno frammentato le correnti e i partiti presenti in parlamento e sia Ennahdha ed i suoi alleati di Al Karama che la coalizione laica creatasi attorno a Fakhfakh potranno difficilmente raccogliere la maggioranza. «Se sarà necessario – ha già affermato Saied – scioglierò il parlamento per nuove elezioni».