Venerdì in tarda serata i deputati tunisini hanno negato la fiducia al governo di Habib Jemli, scelto dal partito islamista di maggioranza Ennahdha, riaprendo le negoziazioni per la formazione di un governo stabile a tre mesi dall’esito delle recenti elezioni legislative.

Al termine di una lunga giornata di dibattiti solamente 72 deputati su 219 hanno appoggiato il governo Jemli, molto lontano dalla maggioranza richiesta di 109 voti. Una impasse che mette in evidenza la crisi e soprattutto la frammentazione politica in seguito all’esito delle legislative dello scorso 6 ottobre.

Un voto negativo che conferma le polemiche nei confronti di Ennahdha, primo partito in parlamento con i suoi 54 seggi, che ha nominato il proprio candidato il 15 novembre scorso e che, nonostante le laboriose trattative, non è stato in grado di formare una coalizione governativa.

Lo stesso Jemli, viste le difficoltà nel trovare una maggioranza politica, aveva quindi deciso di istituire un gabinetto di personalità «indipendenti», scelte «in base a competenza, integrità e capacità concrete». Ma la squadra di governo e le personalità presentate lo scorso 2 gennaio sono state rapidamente criticate per non essere «né chiaramente competenti né veramente indipendenti».

Qalb Tounes, la seconda forza più grande in parlamento con 38 seggi, partito del magnate della tv Nabil Karoui – il Berlusconi tunisino, candidato sconfitto alle elezioni presidenziali in Tunisia – ha fortemente criticato la «mancanza di indipendenza» e «l’inadeguatezza del programma di governo proposto», considerato anche troppo leggero in un momento storico in cui il paese necessita di riforme economiche serie.

Le principali critiche delle diverse forze politiche – 137 i voti contrari al governo – e di numerosi membri della società civile erano legate principalmente alla mancanza di «esponenti tecnici» con la nomina di magistrati e personalità considerate troppo vicine ad Ennahdha – che ha governato direttamente o indirettamente in questi nove anni – a capo di ministeri di peso come la giustizia, l’interno e l’economia.

Il paese necessita di riforme economiche per diminuire la pressione fiscale nei confronti della classi più povere e per favorire una crescita occupazionale, vera piaga del paese, con una disoccupazione che nelle aree rurali raggiunge anche il 40%, soprattutto tra i giovani.

La Tunisia, inoltre, ha concordato nel 2016 con il Fondo monetario internazionale un programma che fornisce 2,6 miliardi di euro in cambio di importanti riforme, alcune delle quali contestate. Ma a causa dei ritardi accumulati, Tunisi ha finora ricevuto solo 1,4 miliardi di euro a causa dell’impasse politica e dovrebbe cominciare a restituire parte di quei fondi da novembre di quest’anno.

Spetta ora a Kaïs Saïed, neo presidente indipendente e senza un partito o una coalizione a sostenerlo, nominare un altro primo ministro. Secondo la Costituzione, Saïed ha dieci giorni di tempo per avviare consultazioni al fine di trovare «la persona ritenuta più adatta a formare un governo entro un massimo di un mese».

Se il candidato scelto da Saïed a sua volta non riuscisse a formare un governo, sarebbe il momento di sciogliere l’Assemblea, a rischio di ritardare ulteriormente le misure necessarie per frenare l’inflazione e la disoccupazione che grava sulle famiglie tunisine.

Il prossimo martedì, con l’avvicinarsi del nono anniversario della caduta del regime di Ben Ali, numerose mobilitazioni sono previste nel paese, in particolare nelle aree emarginate dell’interno del paese, con il potente sindacato Ugtt che ha in previsione un’imponente manifestazione a Tunisi e un possibile sciopero generale.