Partiamo dall’inizio. L’Università di Genova ha un Laboratorio di sociologia visuale che, nel periodo 2015/2016, organizza un workshop in Tunisia con gli studenti di sociologia dell’Università di Tunisi El Manar. L’obiettivo è compiere una ricerca sociologica e proporne i risultati in forma di film documentario.

La beffa: il tutto si svolge all’interno del progetto europeo Alyssa, che dovrebbe promuovere la mobilità accademica e la condivisione di saperi tra Europa e Tunisia, ma quando alcuni degli studenti tunisini vengono invitati a una conferenza a Genova, l’ambasciata italiana a Tunisi nega a uno di loro il visto per entrare in Italia. Mobilità e condivisione sì… l’importante è nascere dalla parte giusta del Mediterraneo.

Un tema, questo, tragicamente in linea col progetto di ricerca, che si intitola Winou el chabeb?, “Dove sono i giovani?”, e si interroga sui “paesaggi di genere e di generazione” della Tunisia dopo la rivoluzione. Dove sono spariti i giovani e le donne tunisine che qualche anno fa riempivano le piazze? Gli studenti tunisini scelgono, consapevolmente, di indagare… loro stessi: giovani che studiano sapendo che non troveranno lavoro e che vivono la Tunisia come una prigione.

In un voluto gioco di specchi, i sociologi italiani che guidano il progetto osservano gli osservatori, ovvero i tunisini alle prese col film, e ci scrivono un libro.

Il film ha il sarcastico titolo di “Dopo la primavera… l’inverno” ed è disponibile su www.laboratoriosociologiavisuale.it. Il libro, invece, definito dagli autori un diario etnografico, si intitola “Dopo la rivoluzione – Paesaggi giovanili e sguardi di genere nella Tunisia contemporanea”. Vi troviamo alcuni ritratti dei giovani coinvolti, dall’ateo, libertino e scroccone che fa paracadutismo nel deserto, quasi fosse una metafora della sua intera vita, alla ragazza di campagna che ha perso un dito lavorando in fabbrica e che indossa il velo solo a Tunisi per andare all’università: non per fede, ma per sfidare lo stigma associato alle ragazze rurali. E soprattutto vi troviamo molti temi chiave della realtà tunisina prima e dopo la rivoluzione del 2010-11: la disoccupazione, il mondo del lavoro e lo sfruttamento, il sistema di istruzione che impedisce libere scelte e amplifica le differenze di classe, le storie di migrazione tra visti, frontiere, barconi e rimpatri forzati, gli abusi della polizia, il jihadismo, le rivolte croniche nel paese, gli squilibri regionali, l’annientamento del corpo come ultimo mezzo a disposizione per farsi ascoltare, la distruzione del tessuto sociale per l’effetto congiunto dell’emigrazione e delle politiche legate al turismo, la segregazione di genere nello spazio pubblico e la doppia vita delle donne tunisine che devono gestire sul loro corpo la contraddizione tra vecchi e nuovi ruoli, tra laicità e religione, tra mondo arabo e occidente.

Un approccio “volutamente ingenuo” quello degli autori, che raccontano sorpresi ciò che colpisce i loro occhi di europei: il che può portare a dedicare gran parte di un lungo capitolo sulle questioni di genere al trito argomento del velo. Ma anche a mettere in luce le somiglianze e, in particolare, le lotte che accomunano “noi” e “loro”.

Dove sono dunque i giovani? La madre di uno dei dispersi in mare esclama: o morti, o clandestini in Europa, o qui senza lavoro buttati nei bar, o in Siria a fare la guerra.

Tuttavia, libro e film restituiscono frammenti di resistenza quotidiana. Dice Safouan: “Noi siamo la nuova generazione di ricercatori che non lavora come pompieri per lo stato e non si accontenta di descrivere la realtà (…). Noi siamo la nuova generazione che crede veramente che la sociologia è uno sport da combattimento”.