Dopo i primi arresti condotti dopo il sanguinoso attacco contro la spiagga del resort Marhaba a Suesse (38 vittime tra i turisti stranieri), ieri il governo tunisino ha annunciato di aver preso un gruppo di sette sospetti, accusati di aver organizzato l’azione portata avanti dal kalashnikov di Seifeddine Rezgui.

Secondo la polizia tunisina, il 23enne non avrebbe agito da solo, ma sarebbe parte di una cellula terroristica, legata o simpatizzante dello Stato Islamico che ha rivendicato l’attacco già venerdì sera, a poche ore dal massacro. Per ora il governo non si spinge oltre. In conferenza stampa, il ministro degli Interni Gharsalli non ha fornito dettagli sugli arrestati: «Abbiamo cominciato arrestando un primo gruppo della rete che è dietro questo atto criminale», ha detto aggiungendo soltanto che l’intelligence sta lavorando per verificare se l’attentatore fosse o meno parte dei gruppi di neo-jihadisti tunisini addestrati nella vicina Libia.

Tunisi si sta muovendo in fretta nel tentativo di salvaguardare l’immagine di democrazia nascente affibbiatagli dalla comunità internazionale. E per impedire la fuga dei turisti stranieri, tra le principali fonti di entrata economica del paese, sabato il governo ha annunciato una serie di misure volte a rassicurare il mondo: mille riservisti dell’esercito sono stati richiamati per essere dispiegati in tutti i luoghi sensibili, compresi siti archeologici e spiagge; ottanta moschee sospettate di aver legami con movimenti islamisti o di inneggiare alla jihad del califfato sono state chiuse; zone militari chiuse saranno create nelle montagne tunisine.

I primi ministri di Gran Bretagna, Francia e Germania (i paesi da cui gran parte delle vittime proveniva) hanno visitato ieri il luogo del massacro e promesso sostegno concreto alle autorità tunisine sotto forma di informazioni di intelligence, addestramento delle forze di sicurezza e coordinamento con la sicurezza alle frontiere del paese. Nelle stesse ore parlava il presidente del parlamento tunisino che ha fatto appello alle forze politiche perché approvino nel giro di un mese la nuova legge anti-terrorismo.

«Abbiamo deciso oggi di far passare la legge anti-terrorismo prima del Giorno della Repubblica, il 25 luglio – ha detto Mohamed Ennaceur dall’ospedale dove ha fatto visita ai feriti – Seguiremo il governo nel prendere le misure necessarie in tutte le aree per combattere il terrorismo».

La legge in questione è diretta a creare una commissione per individuare le radici sociali ed economiche dell’estremismo islamico, ad incrementare i poteri in mano alla polizia e a inasprire le pene per atti simili. Una previsione che preoccupa le associazioni per i diritti umani che temono di veder trasformare il paese in uno Stato di polizia e di regalare alla polizia strumenti per soffocare le voci critiche e impedire le manifestazioni di protesta, tetra memoria dell’epoca del dittatore Ben Ali. E quindi di spingere un numero maggiore di giovani verso la radicalizzazione.