Sarebbe stato un kamikaze a farsi esplodere sull’autobus della guardia presidenziale nell’attentato che ha insanguidato martedì pomeriggio il centro di Tunisi. Il ministero dell’Interno ha comunicato ieri sera i risultati preliminari dell’inchiesta, in base ai quali l’attentatore suicida avrebbe utilizzato una cintura esplosiva caricata di Semtex, un potente plastico di origine militare, precisando che si tratterebbe di un ordigno molto simile a quelli prodotti in Libia nel 2014.

Il gabinetto di guerra che si è riunito in mattinata, oltre al coprifuoco nella capitale e allo stato d’emergenza in tutto il paese già decretato dal presidente Beji Caid Essebsi subito dopo l’attentato per la durata di un mese, ha deciso di sigillare le frontiere terrestri con la Libia per 15 giorni a partire da subito e di rafforzare i controlli alle frontiere in particolare verso tutti coloro che provengono da zone di guerra come Siria, Iraq e Libia.

La conta delle vittime dell’attentato si è fermata a 12 guardie presidenziali più un tredicesimo corpo che dovrebbe essere quello dell’attentatore, anche se l’esame autoptico non è stato ancora completato e ricostruirne l’identità non appare semplice visto che, come ha detto il portavoce del ministro Yassim Moussahli, «il cadavere si presenta molto sfigurato».

Secondo la rivendicazione arrivata via Twitter da una cellula tunisina di Daesh il suo nome sarebbe «Abou Abdallah Ettounsi», cioè Abou il Tunsino, ma si tratta, evidentemente, di un nome di battaglia, la sua nuova identità sotto l’Isis. E la rivendicazione stessa è al vaglio di autenticità degli inquirenti.

La ricostruzione dell’accaduto viene dal portavoce del sindacato delle guardie presidenziali, Hichem Gharbi, intervistato da una radio privata. Nel suo racconto un uomo sconosciuto sarebbe salito come nulla fosse sul pullmino stipato di guardie presidenziali e pronto alla partenza in avenue Mohamed V, a duecento metri dal ministero del Turismo e a meno di mezzo chilometro di distanza dal ministero dell’Interno, con uno zainetto in spalla e le cuffiette nelle orecchie. Quando le guardie presidenziali gli hanno chiesto conto della sua intrusione, avrebbe azionato la cintura esplosiva.

Nel bilancio complessivo delle vittime vanno contati, oltre ai 13 morti, anche venti feriti tra cui quattro civili. E la moglie di una delle guardie uccise, che per il dolore ha avuto un attacco di cuore alla notizia della morte del marito.

La fragile democrazia tunisina a cinque anni dalla cosiddetta Rivoluzione dei gelsomini sta vivendo un momento particolarmente delicato. Nel governo di unità nazionale il partito di maggioranza relativa, Nidaa Tounes è spaccato in due fazioni di potere che si sono fronteggiate a botte e insulti non più tardi di due settimane fa in un hotel di Hammamet. Queste due fazioni, capitanate dal segretario del partito Mohsen Marzouki e dal figlio dell’anziano presidente della Repubblica Hafhed Caid Essebsi non si sono riconciliate neanche sull’altare dell’attacco alle istituzioni democratiche di queste ore.

In più, dopo gli attentati al museo del Bardo e all’hotel di Sousse la diminuzione delle entrate di valuta pregiata per la crisi del turismo ha aumentato disoccupazione e carovita anche nelle più ricche zone costiere e a Tunisi, mentre la zona rurale intorno a Sidi Bouzid, culla della rivolta nel 2011, è sprofondata ulteriormente nella miseria: senza servizi, strade, acqua potabile, mercati.

«La situazione dal punto di vista economico è molto brutta – conferma Hamadi Zribi, blogger tunisino tornato nel suo paese dopo la cacciata di Ben Ali e 20 anni passati in Italia – ma cerchiamo di andare avanti. Sono stato in centro e anche stamattina c’erano tantissimi giovani in fila davanti alle biglietterie per partecipare al Festival du cinéma de Carthage ancora in corso, i cinema sono pieni. Non è che abbiamo fatto l’abitudine al rischio di attentati, è che se vince la paura, vincono loro, i terroristi, la vita invece deve andare avanti e anche la democrazia».

Hamadi segnala però un clima politico che sta virando verso una stretta securitaria pericolosa. «Nei talk show della sera gli analisti politici fanno a gara a chiedere misure d’eccezione sempre più restrittive e a prendere di mira i sindacati e le associazioni dei diritti umani che denunciano violazioni delle libertà costituzionali».

I sindacati delle forze di polizia Unsfst e Snfsi in un comunicato congiunto all’indomani dell’attentato che ha colpito i colleghi della guardia presidenziale hanno chiesto oltre a indennizzi per le famiglie degli uccisi, anche carceri speciali per i terroristi, arresti preventivi di tutti coloro che tornano in Tunisia da aree di guerra e completa libertà di perquisizione nelle case private anche senza mandato firmato da un procuratore.