Il 30 maggio 1921, alle quattro del pomeriggio, il diciannovenne Dick Rowland entrò nell’ascensore del Drexel Building al 319 di South Main Street a Tulsa, Oklahoma. Voleva usare il bagno al primo piano, il solo che potesse usare – Dick Rowland era nero. A spingere leve e pulsanti dell’ascensore, la diciassettenne bianca Sarah Page. Qualcuno sentì un grido e vide un nero che scappava, qualcun altro chiamò la polizia. 40 ore dopo, centinaia di cadaveri sconciavano le strade di Tulsa e il fumo saliva dai quartieri in fiamme.

Il presidente Joe Biden si è spinto ieri nel cuore dell’Oklahoma per ricordare il Tulsa race massacre. Biden intende istituire il «Giorno della memoria», perché la strage sia ricordata ogni 31 maggio per i cento anni futuri. Perché nei cento anni precedenti, i morti di Tulsa pian piano sparirono. Il solo documento ufficiale fu il rapporto di una commissione d’inchiesta… del 2001.

IL GIOVANE ROWLAND scappò nel quartiere dei neri chiamato Greenwood, dove due poliziotti (uno bianco e uno nero, il solo che c’era) lo arrestarono il mattino. Lo chiusero nella prigione della contea, ma alle 15 uscì l’edizione straordinaria del Tulsa Tribune che parlava di assault (la parola stupro non si poteva usare) e titolava: «Stanotte si lincia il negro». Centinaia di bianchi armati si piazzarono davanti alla prigione. I linciaggi erano scene piuttosto comuni, l’Oklahoma era da poco entrato nell’Unione e il suo primo atto come stato americano fu proclamare la segregazione razziale. Ma questa volta, centinaia di neri fecero altrettanto. Era successa la prima guerra mondiale, i reduci pensavano che combattendo avessero guadagnato dei diritti.

 

La veglia a Tulsa in memoria delle vittime (Ap)

 

Joe Biden non è arrivato a mani vuote. Dopo l’anno terribile di Black Lives Matter e un voto nero che gli ha regalato forse la presidenza ma certo il senato (con la vittoria di zero virgola in Georgia), il presidente porta in dote 10 miliardi di dollari del suo piano per le infrastrutture «con nuove specifiche per le comunità sotto-servite», e l’ordine di aumentare del 50% i contratti federali di fornitura con «piccole aziende svantaggiate». Per i ragionieri della Casa bianca vuol dire 100 miliardi di dollari in 5 anni.

IL SOBBORGO DI GREENWOOD era nato nel 1906 e in 15 anni era diventato così prospero che lo chiamavano «Black Wall street». Due giornali, due cinema, decine di professionisti come medici e avvocati, chiese a mazzi. Ma la segregazione era legge, e i bianchi davanti al carcere erano ormai più di mille, non suprematisti militanti ma normali razzisti-base. Chi sparò il primo colpo nessuno lo saprà mai, ma al tramonto bianchi e neri aprirono il fuoco e poi si ritirarono lasciando sul terreno i primi morti.

Nella notte la scaramuccia diventò un assalto, dopo i fucili arrivarono le taniche di benzina, alle cinque del mattino Greenwood era un unico falò. All’alba una folla di bianchi cominciò a rastrellare il quartiere e sparare a bruciapelo, persino una decina di vecchi biplani della Grande guerra sorvolarono il «Black Wall street» distribuendo ordigni incendiari e fucilate. Solo alle 10 del mattino del 1 giugno arrivò la Guardia nazionale. Il generale Charles Barret dichiarò la legge marziale e chiuse gli scontri grazie a una mitragliatrice su un camion. Il governatore Robertson aprì un’inchiesta e la chiuse in una settimana: nessuna condanna. Il conto dei morti non fu mai fatto davvero, «centinaia» è la sola stima che si può trarre dalle cifre diversissime di giornali e agenzie pubbliche. Trenta isolati finirono bruciati, 10mila i senzatetto.

NEI PROGETTI DEL PRESIDENTE anche sgravi fiscali per la casa di famiglie a basso reddito (secondo il Center for American Progress il reddito medio di una famiglia bianca è 189mila dollari, quello di una famiglia nera 24mila). «Andiamo oltre il ricordo – ha detto Biden prima di risalire sull’elicottero presidenziale – e usiamo questo giorno per riflettere sul razzismo sistemico».

Perché il massacro di Tulsa, semplicemente, sparì. Non se ne parlò più, per anni e poi per decenni, gli editori rifiutarono sistematicamente articoli, libri, tesi di laurea. Negli anni 70 un chitarrista scoprì il blues della zona, prese ad andare e venire da Tulsa e nel ’78 uscì con un singolo. Su un lato, una canzone su un musicista deluso da Hollywood che torna in Oklahoma e rimette l’orologio sul pacifico Tulsa time. Si chiamava Eric Clapton. Sull’altro lato c’era Cocaine.