Ci sono canzoni che segnano intere generazioni. Facendo l’esempio del rock, si possono citare Jailhouse Rock, Blowin’ in the wind, Yesterday, Imagine, Smoke on the Water, Another Brick in the Wall, With or Without You, Smells Like Teen Spirit: tutti brani di cui ogni appassionato del genere conosce ogni dettaglio, compreso, forse, perfino l’anno di composizione.
Ci sono altri brani, invece, che sono entrati nelle orecchie di centinaia di milioni di persone ma di cui quasi nessuno conosce titolo e autore.

Chi anzi mostrasse conoscenza in tema potrebbe essere bollato come un «nerd», uno «sfigato».

È il caso di titoli come Overworld Theme o Theme of Quox oppure ancora Sophia: nessuno (o quasi) sa chi ci sia dietro, ma l’influenza di questi tre titoli è arrivata più in là di quanto dica il loro titolo, accompagnando un’intera generazione di persone nate e cresciute tra flussi globali di prodotti e cultura tra due poli opposti, ma mai così integrati: America, da una parte, e Giappone, dall’altra.

Questa storia parte dalla sua fine, o quasi. Santa Monica, California, 29 marzo 2005. Beck Hansen, poliedrico artista della scena musicale indipendente americana, pubblica il suo sesto album, Guero.

Uno dei singoli di punta del disco, Girl, attacca con quattro note sintetizzate. Tuh-tuh tuh-tuh-tuh-tuh. La tonalità si alza e poi parte un giro di chitarra acustica. Il ronzio di quelle note d’apertura è però familiare.

Riporta molti ascoltatori a un mondo che agli inizi del 2000 sembrava già lontanissimo: quello della musica 8 bit, usata nei primi videogiochi da sala giochi o consolle usciti nei primi anni ’80 negli Usa e in Giappone e poi esportati in tutto il mondo.

Quei suoni riportano alla mente i nomi Atari, Konami, Nintendo, Namco, o ancora la scritta «Dot matrix with stereo sound» che campeggiava sopra lo schermo del Gameboy, la consolle portatile più popolare degli anni ‘90.

È un ronzio di giochi, di spensieratezza,ma anche di alienazione e rimproveri di genitore.

Con l’intro di Girl e un intero EP – Hell Yes, con all’interno titoli come Bad Cartridge, cartuccia difettosa, o Ghettochip Malfunction, remix di alcuni pezzi di Guero – uscito sempre nel 2005, Beck resuscita la musica da sala giochi.

A dire la verità niente di così innovativo, ma a lui il merito di averla riproposta ad un’audience globale, sfruttando canali come Mtv, allora nel suo periodo d’oro.

Tra gli anni ’80 e ’90 la musica 8bit – le cui melodie venivano scritte via computer sotto forma di dati in particolari chip chiamati generatori sonori programmabili o PSG – era andata di pari passo con l’evoluzione dei computer e delle consolle per videogame. Qualche pioniere della musica elettronica come Ryuichi Sakamoto e la sua Yellow Magic Orchestra – non a caso giapponesi – vi si erano avvicinati in brani come Computer Game Theme, più un’intro alla loro Firecracker che un brano vero e proprio.

Qualcosa cambia poi verso la fine degli anni ’90. In quegli anni la scena underground newyorchese è in fermento: parte un movimento di riscoperta delle sonorità della musica da videogame anni ’80.

Alla fine degli anni ’90 era venuto a costituirsi a New York un gruppo di musicisti uniti dalla passione per la musica elettronica fatta con i Gameboy – la principale consolle portatile della Nintendo.

Dopo un primo periodo passato a suonare in location improvvisate, il gruppo aveva trovato finalmente il proprio centro in un locale sulla 151esima, il Tank. Negli anni il Tank diventa un vero e proprio punto di riferimento per il genere chiptune, la musica fatta appunto con i chip. La location inizia ad attirare decine di artisti armati dei loro Gameboy e di una speciale cartuccia – LSDJ – che permette di selezionare e combinare tracce sonore in 8bit e comporre canzoni.

Nel 2006 proprio qui si tiene il primo festival internazionale del genere, il Blip Festival. Parallalemente a New York anche la chiptune infatti si è sviluppata a Stoccolma e Tokyo. Alla kermesse newyorchese partecipano infatti, oltre agli artisti dello zoccolo duro locale come Bubblyfish, Glomag, Nullsleep, Bit Shifter, o la band punk-8bit Anamaguchi, e ospiti internazionale come i giapponesi Coova e YCMK.

L’esperienza viene raccontata in un documentario, uscito nel 2008 e intitolato Reformat the Planet.

«Consolle e cartucce di gioco – spiegava proprio Bubblyfish nel documentario – sono nati come prodotti di consumo che voleva vendere. Per noi tornare a utilizzarli non significava fare soldi, ma dare spazio alla nostra creatività».

La filosofia dei musicisti della scena chiptune è un mix di divertimento e sovversione. «La gente non vuole solo usare gli oggetti solo per quello per cui sono stati costruiti. Vuole poterli staccare dalla loro funzione originale ed essere libera di pasticciarci su», sentenziava un altro artista. «Ritornare a questi hardware che sono stati dimenticati dall’accelerazione dell’avanzamento tecnologico e dal nostro desiderio di avere consolle più veloci e con grafiche migliori è comunque una forma di originalità».

In effetti, dagli anni ’80 la tecnologia è progredita a ritmi altissimi. All’alba degli anni ’10 del ventunesimo secolo, i PSG hanno lasciato spazio a macchine più complesse e software d’avanguardia. Consolle come i Gameboy sono ormai considerati modernariato, sostituiti dai consolle portatili più avanzate e sofisticate.

Le cartucce si sono via via assottigliate diventando simili alle schede di memoria SSD, o sostituite da mini cd. Ma soprattutto Internet è diventato pervasivo.
Ai flussi globali «fisici» degli anni ’80 e primi ’90 si aggiungono enormi moli di dati, video, musicali che in pochi secondi arrivano da una parte all’altra del mondo. La globalizzazione è passata ad un livello successivo.

Ed è proprio grazie a Youtube, uno dei simboli di questa transizione, che Masashi Kageyama, compositore di musica da videogame per la casa di produzione Sunsoft a cavallo tra gli anni ’80 e ’90, nella sua casa di Shizuoka, tra le piantagioni di tè alle pendici del monte Fuji, vede qualcosa che non avrebbe mai immaginato.

Nel video, c’era un gruppo newyorchese che si esibiva dal vivo. A colpire Kageyama era il fatto che i musicisti suonassero musica 8 bit e, nello specifico, pezzi di musica che lui stesso aveva composto quasi vent’anni prima. Kageyama, autore della musica di un popolare videogame dei primi anni ’90, Mr Gimmick, un platform in stile Super Mario, ne rimane colpito. Ai film-maker Nick Dwyer e Tu Neill, autori del documentario in 6 parti dedicato alla musica da videogame Made in Japan e intitolato Diggin’ In The Carts prodotto nel 2014 dalla Red Bull Music Academy, ha raccontato: «Suonavano le canzoni di Mr Gimmick. Conoscevano la mia musica e dicevano di averne subito fortemente l’influenza Anche se con la musica ho smesso da quasi vent’anni, mi ha fatto venire voglia di tornare a comporre».

Fare musica per divertirsi e divertire, senza mirare a un guadagno monetario è forse il più importante trait d’union che collega gli inconsapevoli pionieri del genere – musicisti e informatici giapponesi che nei primi anni ’80 avevano dato vita a quello che sarebbe diventato il più importante «prodotto musicale d’esportazione» del loro paese, ben prima di fenomeni come Hatsune Miku o le Babymetal – al chiptune delle origini.

A confermarlo sono altri due pilastri della musica per videogame: Junko Ozawa e Hirokazu Tanaka. «Quando sono entrata in Namco, non mi sembrava nemmeno di essere in un’azienda, ma in un club del doposcuola per liceali e universitari era un ambiente molto vitale», spiega Ozawa nel documentario.

«Nessuno di noi pensava una volta entrati in Nintendo, di avere l’impatto che abbiamo avuto», ha dichiarato Tanaka, autore delle musiche del gioco per Gameboy Super Mario Land e responsabile dello sviluppo del chip sonoro della consolle portatile Nintendo.

«Uno Stradivari è uno strumento straordinario», ammetteva Ozawa. «Ma nessun altro strumento ha la stesso suono grezzo e semplice dei bit». E basta ascoltare una traccia del progetto Omodaka che unisce la chiptune alla musica folk giapponese, o guardare un coloratissimo video dei giapponesi YMCK per capire quanto la 8bit sia ancora viva e creativa.