Decine di migliaia di londinesi si sono svegliati ieri con la prospettiva di lottare per arrivare al posto di lavoro. Molti all’alba. Lo sciopero di 48 ore della metropolitana della capitale – la più costosa del mondo – annunciato dai due sindacati principali dei trasporti Rmt e Tssa – non è stato revocato: le trattative sono finora state un dialogo fra sordi. Cominciato alle nove e mezzo di sera di martedì, dovrebbe finire oggi, ma ci si aspettano disagi fino a venerdì mattina.

Così, dopo aver intasato invano le stazioni, con linee come la Bakerloo, la Waterloo & City e la Circle chiuse, la marea dei pendolari urbani si è lentamente riversata sulle strade, nelle automobili, negli autobus, nell’Overground e nella Docklands Light Railway, le ferrovie leggere integrate al network della metropolitana che funzionavano al 100%. E che hanno conosciuto, al pari delle strade, estremi livelli di congestione.

L’hanno definita una composta, silenziosa mischia da rugby. I londinesi che fronteggiano lo sciopero della metropolitana di oggi con lo stesso stoicismo, disincanto e rassegnazione con cui sono soliti subire le sciagure, siano le bombe del blitz tedesco della Seconda guerra mondiale, gli attacchi terroristici, oppure eventi particolarmente disagevoli come questo sciopero.

Questa la dichiarazione che Bob Crow, leader della Rmt, il massimo sindacato dei trasporti (80.000 iscritti) ha rilasciato: «Come ci aspettavamo l’azione è solida come una roccia e questa mattina ha pesantemente ridotto il network con qualche treno fantasma che attraversava stazioni deserte. Riflette la rabbia dei lavoratori nei confronti dei tentativi d’imposizione unilaterale di tagli all’impiego, ai servizi e alla sicurezza che renderebbero la metro un guscio svuotato e pericoloso». Il riferimento è all’eliminazione di 950 posti di lavoro, motivato dall’azienda con la necessità di eliminare tutte le biglietterie, verso una sempre maggiore automazione e controllo telematico di questo servizio. Una modernizzazione che dovrebbe portare un risparmio di 50 milioni di sterline l’anno.

Il sindacato lamenta l’equivoco ruolo dei cosiddetti «ambasciatori», impiegati di solito provenienti da posizioni amministrative e d’ufficio chiamati dalla direzione ad assistere e consigliare i disorientati passeggeri in mezzo alla calca. Il Tssa ha parlato di autentiche pressioni per indurre i volontari a prestare servizio, definendolo un piano del sindaco Boris Johnson. Ma la London Underground si è affrettata a smentire con decisione. Sostenendo che la scelta dei singoli è stata, appunto, del tutto volontaria.

La disputa si è svolta anche in tempo reale, con una schermaglia fra Cameron e un portavoce del sindacato su Twitter. Già martedì il sindaco e il leader del sindacato – che non parlavano direttamente da cinque anni – avevano avuto un breve ma teso scambio telefonico in diretta radio, risoltosi in un nulla di fatto.

Il direttore generale di London Underground (a partnership mista pubblica-privata) Mike Brown, si dice disposto al dialogo, nella speranza di poter revocare il secondo sciopero, fissato per l’11 febbraio, sempre di quarantott’ore.

Cameron vuole rendere la rete londinese della metropolitana «servizio essenziale» a prescindere dalle agitazioni: in futuro qualora vi fossero scioperi sarà comunque garantito un servizio minimo all’utenza. Ha inoltre condannato senza alcuna riserva lo sciopero, e sollecitato il leader laburista Ed Miliband a fare lo stesso. Miliband ha detto che lo sciopero non sarebbe dovuto accadere e ha deplorato l’assenza di dialogo fra le parti.Dal canto suo, Johnson auspica un cambiamento della normativa sullo sciopero tale da renderlo possibile solo se si ottiene più del 50% delle adesioni dei membri della union.