YouStink. «Tu puzzi». È il lezzo non solo della pattumiera accatastata per le strade e poi data alla fiamme, ma anche della corruzione dilagante e del malcostume endemico che, secondo i manifestanti, olia i meccanismi della politica libanese.

Si sono riuniti sotto l’hashtag #YouStink le ormai migliaia di cittadini che, un mese fa, per la prima volta, dopo aver bloccato le strade e bruciato i rifiuti, hanno portato i sacchi neri e il loro sdegno sotto il Grand Serail, il palazzo del governo, nel centro di Beirut.

#YouStink è un movimento nato e cresciuto in internet in risposta alla cosiddetta «crisi dei rifiuti» che ha colpito la capitale e il Monte Libano dopo che, a metà luglio, la principale discarica della zona, che faceva fronte allo smaltimento ben oltre le proprie capacità, è stata chiusa senza che venisse tempestivamente trovata una soluzione alternativa.

La chiusura del sito ha coinciso poi con la fine del contratto con la Sukleen, la società incaricata della raccolta dei rifiuti. Per oltre una settimana, i camion sono così rimasti fermi e montagne di immondizia hanno sommerso le strade, reso irrespirabile l’aria ed esasperato un malcontento dalle radici antiche, in cui la puzza di pattumiera ha l’odore di un disagio strutturale di più ampio respiro. È quello di un paese attanagliato da una crisi economica e sociale, tenuto in scacco dagli echi della crisi siriana e dai delicati equilibri internazionali, ma anche dilaniato sempre dalle divisioni interne.

Un paese in cui si paga a caro prezzo la mancanza di servizi essenziali, come l’acqua e l’elettricità che rappresentano ancora un lusso. I manifestanti lamentano la paralisi politica e la sua incapacità di trovare una ricetta davvero esaustiva e ora, guardando alle primavere arabe, gridano «Rivoluzione» e «Le persone vogliono rovesciare il regime», mentre chiedono elezioni trasparenti.

Denunciano una disfunzionalità del governo che, in più di un anno, non è stato in grado di raggiungere un’intesa sul successore di Michel Suleiman e di chiudere il capitolo della vacanza presidenziale. Da oltre un mese, sempre più numerosi, sempre più stanchi e disillusi, si danno appuntamento per protestare. L’ultimo, la scorsa domenica. Seconda tappa di un fine settimana che ha risvegliato Beirut dal tepore estivo e ha riportato i tank in azione per le strade del centro.

Il concentramento era fissato alle 18: nonostante il caldo, la folla aveva iniziato a radunarsi già dalle prime ore del mattino, insieme ai molti che , dalla notte prima, avevano risposto con un presidio di tende alle prime cariche di idranti.

Gli scontri del giorno prima hanno condizionato la gestione della piazza senza che però, questa volta, venissero usati i manganelli. C’era ancora la luce quando le prime file – giovani, alcuni giovanissimi – tra un selfie e l’altro, hanno iniziato a spostare il filo spinato che le separava dal cordone di sicurezza della polizia.

Il valzer tra manifestanti e forze dell’ordine è andato avanti anche col buio tra il lancio di oggetti, incendi estemporanei, cannoni ad acqua, proiettili di gomma ad altezza uomo e colpi sparati in aria.

Così per diverse ore, fino a quando i lacrimogeni hanno disperso la folla e spinto le proteste poco più avanti, in Piazza dei Martiri dove, nel 2006 migliaia di tende chiedevano le dimissioni del premier e l’inizio di una nuova fase politica. Lì, tra le fiamme dei cassonetti, i carrarmati hanno spinto via gli ultimi manifestanti rimasti.

Insieme ad altri esponenti politici, a essere preso di mira è il premier Tamman Salam di cui i manifestanti chiedono le dimissioni che lui stesso, ieri in conferenza stampa, ha minacciato. L’ipotesi potrebbe dare vita ad un peggioramento dell’instabilità del Paese dei Cedri dove manifestazioni di solidarietà con #YouStink hanno riempito le strade da Tripoli alla valle della Bekaa.

Oltre 400 feriti, secondo la Croce Rossa Libanese e diversi fermati è il bilancio di due giorni di scontri in cui sembra (ma la notizia non è ancora stata ufficialmente confermata) ci sia anche una vittima.

Nel frattempo, Mohammed Machnouk, ministro dell’ambiente che il mese scorso a più riprese aveva denunciato il rischio epidemia, dichiarando un «lieto fine a questa crisi e l’apertura di una nuova pagina», ha annunciato ieri i nomi delle compagnie vincitrici della gara di appalto per lo smaltimento dei rifiuti nei sei governatorati del Libano.