Grazie a Greenpeace sono state svelate le pressioni delle lobby USA sul Ttip. La domanda è perché in Europa, dalla Commissione al governo italiano, non un dubbio sul fatto che tale accordo vada approvato, rapidamente e in modo ambizioso?

La prima risposta è che le multinazionali e le lobby sono le stesse tra le due sponde dell’Atlantico. Non c’è una posizione statunitense e una europea, ma dai due lati enormi interessi di un’esigua minoranza con un potere spropositato. Interessi sostenuti dall’ideologia che da anni domina il pensiero economico, e secondo la quale è unicamente l’offerta a guidare la crescita. Migliorare l’offerta per essere sempre più competitivi.

Ciò che conta non è il benessere dei cittadini, ma la potenza commerciale della nazione.

Chi esporta di più vince, in una competizione globale, o meglio in una corsa verso il fondo in materia sociale, ambientale, fiscale, monetaria sulla pelle dei cittadini: chi è più bravo a smantellare i diritti delle lavoratrici e dei lavoratori vince, finché un altro Paese non abbassa le leggi a tutela dell’ambiente, finché un altro non si trasforma in un paradiso fiscale, e via discorrendo.

La competitività diventa un fine in sé stesso. A metà 2015 i presidenti di Commissione, Consiglio, Parlamento, Europgruppo e Bce pubblicano un testo, noto come «documento dei cinque presidenti» che dovrebbe riassumere proposte e visione per l’Europa del futuro. Un capitolo è intitolato «convergenza, prosperità e coesione sociale» ma a dispetto del nome si riesce nell’impresa di non menzionare mai parole quali «diritti», «reddito» o «disuguaglianze».

In compenso, in quattro pagine la parola «competitività» compare diciassette volte. Il piccolissimo problema di questa visione mercantilista è che i risultati sono disastrosi, non solo da un punto di vista sociale, ma anche da quello meramente economico. Ma a dispetto dell’evidenza di tale disastro, non solo si va avanti, ma lo sia fa con ancora più intensità. L’austerità non funziona?

La colpa non è di diseguaglianze inaccettabili, ma degli Stati che non hanno stretto abbastanza la cinghia, servono ancora più sacrifici. I 60 miliardi al mese di quantitative easing della Bce non schiodano l’Europa dalla deflazione?

Non si pensa a politiche fiscali comuni, ma a portare il Qe da 60 a 80 miliardi. A fine 2014 la Bce taglia i tassi allo 0,05%, dichiarando che è «il limite più basso, arrivati al quale non sono più possibili aggiustamenti tecnici». Se non funziona non è per la mancanza di investimenti pubblici. La soluzione è una Bce che smentisce se stessa e porta i tassi a zero. Gli esempi potrebbero continuare. Lanciati contro un muro, ci viene detto che l’unica scelta è accelerare, con una testardaggine che rasenta il fanatismo.

Il Ttip è la punta di diamante di questa dottrina, in cui i «diritti» delle imprese vengono prima di quelli delle persone; in cui tribunali sovranazionali ad hoc permettono a un’impresa di fare causa agli Stati sovrani per leggi «eccessive» a tutela del lavoro, dell’ambiente o della sicurezza alimentare; in cui si sancisce il definitivo trionfo della tecnocrazia sulla democrazia.

Ma il Ttip è anche l’ultima carta da giocare per non ammettere gli errori di questi anni e per arrancare disperatamente dietro uno zero virgola qualsiasi cosa in più di Pil senza riconoscere che siamo in un vicolo cieco. Cambiare strada significherebbe preoccuparsi di una mancanza di domanda aggregata legata in primo luogo a diseguaglianze intollerabili. Non partire dall’assunto che la finanza pubblica è il problema e quella privata la soluzione, ma riconoscere che quella privata va regolata chiudendo l’attuale casinò e quella pubblica è uno strumento fondamentale di politica economica.

Promuovendo un vero piano di investimenti con «capitali pazienti» per creare lavoro, per la riconversione ecologica dell’economia, per la ricerca e il welfare.
Fermare questo accordo è allora fondamentale per l’importanza in sé, ma se possibile ancora di più per abbandonare un’ideologia tanto devastante quanto fallimentare, e per cercare delle alternative.

Il Ttip è lo spartiacque tra due visioni inconciliabili non solo economiche e commerciali, ma anche ambientali, sociali e di democrazia. Voi da che parte state?