L’effetto annuncio è fondamentale anche nel commercio internazionale. Il 13 giugno 2013 il primo ministro inglese David Cameron annunciò che il Ttip avrebbe prodotto 2 milioni di posti di lavoro tra Stati Uniti e Europa. L’annuncio fu accolto come una tesi verosimile anche perché, allora come oggi, nessuno conosce cosa c’è scritto in questi accordi di libero scambio. Nella politica economica funziona così: si fissa un numero e si scolpisce una percentuale. Su questa base fittizia si decide come andrà il mondo per la prossima generazione. Quattro mesi dopo, in ottobre, i due milioni si erano già ridotti a una cifra più vaga, ma pur sempre epocale. L’allora capo negoziatore europeo, il commissario Karel de Gucht, parlò di «milioni di impieghi». La seduta di training autogeno nelle cancellerie europee non stava funzionando e presto sarebbe scattato il panico.

La Commissione europea mise a lavorare i suoi esperti nelle segrete stanze, ma preferì non rivelare le conclusioni del loro report. Usando tutte le tabelline per calcolare l’infinitesimale e il nulla, si è saputo che l’impatto occupazionale della cancellazione delle barriere tariffarie e dei regolamenti previsti nel Ttip avrebbe prodotto una catastrofe: i paesi dell’Unione Europea avrebbero perso 680 mila posti, mentre gli Stati Uniti «solo» 325 mila. Praticamente l’opposto di quanto annunciato da Cameron tre anni fa. Nella storia recente del commercio internazionale le prove ci sono. Nel 1993 Clinton firmò, e fece firmare, il Nafta. Esibì sul mercato della politica la cifra record di 20 milioni di impieghi nuovi di zecca. Dieci anni dopo, un’analisi dell’Economic Policy Institute ha dimostrato che il Nafta ha sortito l’effetto opposto sull’economia americana: l’aumento delle esportazioni non ha compensato quello della concorrenza, né l’importazione dei prodotti dall’estero e ha provocato la distruzione netta di quasi 900 mila posti di lavoro. Danni collaterali della guerra dei numeri.

Oscillando tra un polo negativo a uno positivo, il «mood» tra le due sponde dell’Atlantico è sempre stato bipolare. A seconda della pillola presa, negli uffici di Confindustria o nelle ambasciate Usa nelle capitali europee, gli studi sull’impatto del Ttip hanno mostrato la fastidiosa tendenza a divergere, mantenendo sempre una costante: qualsiasi forma avesse preso il trattato – ambizioso oppure in formato mini – ai partner transatlantici sarebbe andato meglio anche nel peggio. L’economista Jeronim Capaldo che lavora sulle previsioni del Ttip dal 2014 ha rivelato che a Parigi scoppierà l’inferno. Da un lato, si confermano la perdita occupazionale e il crollo dei redditi di lavoro pari all’8% in Francia, mentre il 7% del Pil sarà trasferito dal reddito da lavoro ai profitti nel Regno Unito: il paese che vanta il primato di un primo ministro in carica con i conti a Panama (chiusi, dice Cameron). La simulazione di Capaldo dimostra che ogni lavoratore in Francia subirebbe perdite di 5.500 euro all’anno, 4200 nel Regno Unito, 3400 in Germania.

Le sorti dell’Italia dipendono dai modelli matematici. Quello usato da Confindustria e dall’ambasciata Usa in via Veneto è arrivato a prospettare un aumento dell’export di 2 miliardi di euro in tre anni e 30 mila posti di lavoro. Una prospettiva che deve avere ingolosito Renzi e il cerchio magico dei suoi numerologi, quelli che costringono il paese alla penosa ricerca di millesimi anti-gufo ad ogni report dell’Istat. Non sarà così, basta cambiare stime economiche. O scegliere una pillola con il colore diverso. Quella che il Ttip ci consegna è la stessa guerra sui numeri in corso sull’occupazione prodotta dal Jobs Act. Il lavoro ha sempre meno valore. Il valore è determinato dai discorsi dei politici o dei banchieri sull’occupazione e il suo futuro.

Ogni occasione è buona per dare una sciabolata al costo del lavoro e far pagare le conseguenze del libero mercato a chi dovrebbe vivere con il proprio reddito. L’ultimo bollettino della Bce spiega il Ttip o il Jobs Act e la politica economica che li hanno partoriti. «Le riforme del lavoro, approvate durante la crisi, potrebbero aver alterato il funzionamento del mercato del lavoro» si legge. Il condizionale è d’obbligo tra gli austeri contabili di Francoforte. Per chi non porta la grisaglia, è possibile declinare il tempo del verbo al passato prossimo o al futuro: tali riforme «hanno portato» e «porteranno» alla deflazione, alla desalarizzazione del lavoro, all’annullamento delle tutele. Si scrive Ttip o Jobs Act, si legge sotto-occupazione, precarietà e lavoro gratis.