Pronto a un compromesso sempre onorevole e non a una capitolazione incondizionata, Alexis Tsipras. Ma il tempo stringe per il governo greco e il campanello d’allarme non viene dalle casse dello stato più o meno vuote, né dai bottegai, il cui presidente, già candidato europarlamentare con le liste della Nea Dimokratia, ha minacciato che «i lunghi negoziati» tra Atene e i suoi creditori «aggravano la crisi del commercio greco».

Manco a dirlo, l’allarme è giunto da Bruxelles e da Riga dove ministri dell’eurozona hanno espresso la loro rituale preoccupazione su cosa accadrà nel caso in cui l’Eurogruppo dell’11 maggio dovesse finire con un altro nulla di fatto. Il premier greco sa che anche questi «timori» fanno parte delle pressioni esercitate su Atene per farla retrocedere.

Ma il 12 maggio, senza un aiuto finanziario il governo greco difficilmente potrà rimborsare i 700 milioni di euro al Fmi. A meno di saltare stipendi e pensioni per il prossimo mese, cosa che Tsipras ha escluso. Lunedì sera, in un’intervista-fiume finita nella notte, si è detto pronto a un compromesso onorevole, ma non ha indietreggiato: fermo sempre sul programma di Salonicco, ma con uno spirito più adeguato alle circostanze.

Pronto all’autocritica, ma anche esplicito nel caso il negoziato dovesse fallire e le condizioni-diktat imposte dai creditori internazionali dovessero costringere il governo Syriza–Anel a violare le promesse elettorali.

Lo stallo delle ultime settimane «sta spingendo il paese nella recessione», perció «è necessaro arrivare a un accordo in tempi stretti… entro la fine della settimana prossima», ha detto Tsipras, che è parso prò ottimista: «Siamo vicini a un accordo – ha detto -, nonostante restino divergenze su lavoro, pensioni e privatizzazioni». Perché i ricavi delle privatizzazione, per il premier greco, servono a sostenere la crisi sociale non, come sostiene Bruxelles, a ripagare il buco nero del debito lasciato dal governo Samaras.

Ma in caso di fallimento delle trattative o di intesa sfavorevole ad Atene, nel caso che la Grecia varcasse le preannunciate «linee rosse», non si tornerebbe alla dracma, né ci sarebbero elezioni anticipate come paventato da molte parti. Per Tsipras l’alternativa è un referendum. Una consultazione popolare sui risultati del negoziato europeo, malgrado le polemiche provenienti dall’opposizione e i dubbi di chi sostiene che la Costituzione ellenica non prevede referendum per leggi di bilancio.

Ma l’oggetto non sarebbe una legge di bilancio. «Si tratta di un argomento d’interesse nazionale che ha una componente finanziaria», ha risposto ieri Tsipras, che ha criticato Jeroen Dijsselbloem e Mario Draghi. «Abbiamo sbagliato a non chiedere per iscritto ciò che ci avevano promesso, ovvero la garanzia che dopo l’accordo del 20 febbraio avrebbero lasciato mano libera alle banche consentendo loro di investire di più nei titoli di stato». Riferendosi al presidente della Bce, l’ha considerato responsabile della decisione «non ortodossa» di ridurre la possibilità del finanziamento delle banche greche dall’Eurotower. Nessuna frecciata stavolta per Angela Merkel con la quale ha deciso nel recente vertice bilaterale di tenere sempre aperto il collegamento telefonico per garantire il proseguimento del negoziato.

Varoufakis? Ora è meno solo

Tsipras ha poi tessuto le lodi di Yanis Varoufakis – «il ministro delle finanze resta un asset importante per il Paese» -, nonostante domenica scorsa, nella riunione a Megaro Maximou, sede del governo, sia stato deciso di coadiuvare il suo potere di trattativa. Varoufakis mantiene sempre l’incarico del ministero delle Finanze, ma responsabile dei negoziati con i partner europei sarà d’ora in poi il viceministro delle Relazioni internazionali Euclid Tsakalotos, che ha studiato a Oxford e che, secondo alcuni, avrebbe il profilo giusto per trattare con i creditori. Il governo ha inoltre formato una squadra tecnica coordinata dal segretario generale Spyros Sagias, mentre la responsabilità del gruppo che tratta con il Bruxelles-Group l’avrà il presidente del consiglio economico Jorgos Houliarakis. Diverse le interpretazioni del mini-rimpasto del gruppo che tratta con le «istituzioni» europee.

È opinione diffusa che con tale decisione il governo intenda «estendere il sostegno» al ministro delle Finanze, mentre a sentire parte della stampa locale e internazionale (impegnata in una vasta opera di falsificazione), il «depotenziamento» di Varoufakis era quasi obbligato dopo le ennesime, dure critiche dell’Eurogruppo a Riga.

Polemiche anche sul negoziato per le riforme. Alle voci secondo le quali Tsipras sarebbe giá pronto a rinunciare alle promesse elettorali come l’aumento del salario minimo e il rafforzamento dei diritti dei lavoratori con il ripristino del contratto collettivo nazionale di lavoro, il premier mostra invece di non volere rinunciare a nessuno di questi contenuti; al massimo sembra disposto solo a rimandare a giugno il negoziato su questi argomenti nell’ambito delle trattattive per la riduzione del debito e per un programma a lungo termine. Comunque ieri il premier si é limitato a dire soltanto che l’ abolizione della tassa unica sulla casa potrebbe slittare al 2016.