In un clima molto acceso si è svolto ieri sera in seduta straordinaria il dibattito parlamentare tra il premier greco e i leader dell’opposizione (cominciato mentre scrivevamo quest’articolo e prolungatosi fino a notte). Alexis Tsipras ha chiesto ai suoi interlocutori di dire chiaramente se sono a favore o contrari ai progetti di legge che il suo esecutivo ha portato in Parlamento. Secondo il leader dell’opposizione, Antonis Samaras, l’accordo del 20 febbraio è la proroga del Memorandum precedente mentre, come ha sottolineato Tsipras, si tratta di un’estensione che non contiene le misure retrittive del vecchio programma «lacrime e sangue».

Tutti, sia ad Atene che a Bruxelles, nonostante gli attriti e le discordie vorrebbero un’intesa e che i negoziati, in base all’accordo dell’Eurogruppo del 20 febbraio, finiscano il più presto possibile. Perciò bisogna smorzare le tensioni. Per la Grecia, ma anche per i creditori internazionali, il nuovo accordo sulle riforme che Atene dovrebbe realizzare sarà una boccata d’ossigeno: il governo greco incasserà un po’ di soldi dalla Bce per far fronte alle sue esigenze di questo mese e il Fondo monetario internazionale, la Commissione europea e la Banca centrale europea si toglieranno di mezzo – anche se momentaneamente – un problema, anche perché la Grecia va salvata per garantire l’integrità dell’euro e dell’Europa.

Tutti vorrebbero un’intesa, ma tutti, sia ad Atene che a Bruxelles, sembrano pronti a rompere i negoziati, mentre la stampa internazionale ripete fino alla noia l’ipotesi di un grexit nel caso in cui si esaurisca la pazienza dei partner europei o del governo di Syriza-Anel. È vero: se fallissero le trattative con i creditori, la Grecia potrebbe vivere le conseguenze catastrofiche di un default e finire fuori dall’ Ue, ma altrettanto drammatiche sarebbero le scosse in seno all’ Europa non solo nel campo dell’ economia, bensì – è quel viene sottovalutato – nei rapporti geopolitici del vecchio continente con i suoi vicini dell’est.

La lista delle riforme comprende misure per ridurre l’evasione fiscale e la burocrazia, per far fronte alla crisi umanitaria, per promuovere alcune privatizzazioni, che dovrebbero far aumentare le entrate fiscali di tre miliardi di euro nel 2015. I tecnici dell’Eurogruppo caratterizzano la lista come «troppo vaga, poco credibile», mentre il governo greco, che punta su un attivo di bilancio primario dell’1,5 per cento del Pil quest’ anno (mentre i creditori vorrebbero il 3 per cento) parla di un elenco preparato nei minimi dettagli. Mancanza di esperienza da parte del nuovo esecutivo ellenico oppure c’è dell’altro? A sentire fonti di governo ad Atene, in gioco ci sarebbe dell’altro: dietro le quinte i partner europei vorrebbero infatti misure aggiuntive che toccherebbero la «sfera proibita» di Syriza, ovvero nuovi tagli e licenziamenti nel settore pubblico greco.

Crisi di liquidità, quindi, oppure una nuova stangata è il dilemma di Alexis Tsipras, che fa di tutto per uscire dalla strettoia. Il viceministro delle finanze greco, Dimitris Mardas, ha assicurato che pagherà in tempo salari e pensioni, ma nello stesso tempo fa di tutto per raccogliere soldi (il 9 aprile deve rimborsare altri 450 milioni di euro al Fmi). Intanto il vice-premier, Yannis Dragasakis, insieme al ministro degli esteri Nikos Kotzias, sono tornati da un viaggio di cinque giorni a Pechino, dove si sono incontrati con la leadership cinese. Al centro dei colloqui il destino del porto del Pireo (dove i cinesi sono già presenti con la Cosco), di quello di Salonicco e della Trainose, la compagnia delle ferrovie elleniche.