«Nessuno ha vinto questo congresso», scandisce Nichi Vendola domenica nelle sue conclusioni dal palco del congresso di Sel a Riccione. Intende dire, e lo dice, che «avete vinto tutti voi che ci date il mandato specifico di praticare la possibilità di sostenere Tsipras, una volta che abbia dato la disponibilità di indicare la sua candidatura non chiusa nel recinto del Gue, ma aperta alla sinistra più larga». Ovvero nella «terra di mezzo», «con Tsipras ma non contro Schulz, con Tsipras per incontrare Schulz».

In realtà, si capisce anche dalle parole di Vendola, la partita non è ancora finita, dunque per ora non ha vinto nessuno. Il primo tempo, però, se lo sono aggiudicato – rovesciando l’esito che sembrava delinearsi in apertura delle assise, grazie anche all’assenza, nella lettera del leader greco ai suoi fan italiani, di condizioni proibitive per partecipare alla lista per l’AltraEuropa – quelli che avevano indicato nella via greca la «strada giusta». Come Nicola Fratoianni, che proprio Vendola, affiancandolo nei ringraziamenti finali a Gennaro Migliore (lo sconfitto, per ora) ha in qualche modo identificato come capo di una corrente, contrapposta appunto a quella del suo capogruppo a Montecitorio. Del resto, sebbene il riconfermato presidente avrebbe voluto evitare la conta, è la platea a reclamarla. Dalla presidenza viene infatti annunciato che il documento è approvato «a larga maggioranza». La sala rumoreggia, fischi di protesta e allora si rivota: 382 sì all’ordine del giorno, 68 contrari, 123 astenuti. Tra i contrari o astenuti, parecchi parlamentari (non Migliore, che come come presidente dei deputati votando contro avrebbe aperto una frattura nel gruppo dirigente difficilmente ricomponibile) e anche il tesoriere Sergio Boccadutri. La spaccatura di Sel sulla strada per Atene resa plastica dalla votazione diventa contestazione plateale nelle parole di Claudio Fava, dell’area ex sinistra diessina: «Chiudere questo congresso ’con Tsipras ma non contro Schulz’ è un ossimoro e anche un pochino doroteo. Non si può pensare di prendere il nome di Tsipras e poi andare contro quel che dice Tsipras», lamenta e non perché vorrebbe finire tra le falci e martello del Gue («i partitini malati di nostalgia e ortodossia ideologica non sono nostri compagni di viaggio», aveva comunque chiarito Nichi Vendola), ma perché avrebbe voluto una netta sterzata verso il Pse.

Ma la partita resta aperta. Il documento chiede infatti di «aprire immediatamente un confronto ed interlocuzione con tutti quei soggetti che oggi in Italia si prefiggono l’obiettivo di un’AltraEuropa e in sostegno alla candidatura di Alexis Tsipras, al fine di verificare, con serietà, le condizioni e le possibilità per partecipare ad un percorso comune». L’esito delle consultazioni dovrà essere riferito alla prossima assemblea nazionale del partito. E sulla collocazione nella famiglie europee, si resta appunto nella «terra di mezzo»: «Interloquiremo con Pse, Sinistra Europea e Verdi Europei», è scritto nel documento. Ma intanto a fine febbraio Sel parteciperà al congresso dei socialisti europei.

Questa, dunque, «la strada giusta» di Sel per andare in Europa. Ma è una strada difficile. Un «viottolo stretto», per gli scettici, «una corsa a ostacoli» per tutti. Un esito a sorpresa per un congresso iniziato sotto le insegne del Pse, «un esito sul quale abbiamo investito perché abbiamo saputo interpretare la pancia dei delegati», ragiona Massimiliano Smeriglio, numero due di Zingaretti nel Lazio. «È difficile da realizzare, lo so, ma tutti sanno che non c’era alternativa. Sarebbe bello pensare a un modello come quello di Genova 2001, in cui i diversi soggetti cedano sovranità e costituiscano uno spazio comune a disposizione di tutti. Come ha chiesto anche Raffaella Bolini dell’Arci dal palco».

«Un desiderio più che una linea politica», dicono gli sconfitti. Le scorie dei disastri elettorali – e delle scissioni e delle divisioni – dall’Arcobaleno del 2008 alla lista Ingroia del 2013 sono, come da tradizione di sinistra, il principale ostacolo alla ’reunion’. L’appello per Tsipras ha ormai toccato le 10mila firme, e ogni giorno ne raccoglie di prestigiose (quella di Gino Strada e di Michele Serra, le ultime). Ma già prima della formazione del «gruppo di contatto» circolano «condizioni» per il contatto. Per le aperture di Barbara Spinelli, prima firmataria dell’appello per Tsipras (sul manifesto di domenica: «L’obiettivo è stare con Tsipras in Europa, aprire le porte a coalizioni inedite a Strasburgo»), ci sono anche i paletti per una lista comune (Flores D’Arcais, altro firmatario, ieri sul Corriere: «Nessun politico che ha ricoperto cariche negli ultimi anni sarà candidato nel nome di Tsipras»), i giudizi senza appello sul Pse (Fausto Bertinotti, su Controlacrisi.org, le socialdemocrazie sono una parte «dell’Europa reale» ovvero «la costruzione di un nuovo modello capitalistico»). Fino a Paolo Ferrero, Prc, che a Sel chiede di fatto l’abiura: «Ha inseguito il Pd fino a ieri. Vediamo se si rende conto di aver commesso un errore e si inizia un percorso comune».

Non sarà facile trovare la quadra. Anche perché, spiega Migliore, «al congresso abbiamo anche fatto una precisa affermazione: non torneremo indietro. Non faremo un nuovo Arcobaleno». Una preoccupazione unitaria che ha spinto al passo indietro anche il coordinatore Ciccio Ferrara: e il suo incarico verrà riassegnato all’assemblea nazionale appena eletta, dove però verranno valutati anche i primi passi del «gruppo di contatto»: già una verifica politica, di fatto. «Faccio un passo indietro per agevolare il rinnovamento», spiega Ferrara. Ma anche per evitare altre spaccature. E malumori, che non mancano. Nel gruppo parlamentare, zeppo di Tsipras-scettici. E nell’ala ex ds, che con i comunisti del Prc ha marcato le distanze ai tempi della Bolognina. E adesso maltollera quelle che definisce «fughe indietro» e «ritorni in famiglia». Come, ad esempio, l’adesione di Fratoianni (capofila pro-Tsipras) a un’iniziativa perugina del 30 gennaio con Fabio Amato (Prc) e Roberto Musacchio (Alba, anche lui ex Prc).

Le croci di Sel si incrociano a loro volta. La partita sulla lista europea parte, in salita, proprio mentre i deputati affrontano la battaglia ’vita o morte’ sulla legge elettorale. Fin qui zero dialogo con Renzi, se si esclude un incontro con Vendola alla vigilia di quello del leader Pd con Berlusconi, in cui però, racconta Vendola, «il percorso delineato non era il patto a due Pd-Forza Italia, ma un giro di orizzonte molto più ampio». Sel ieri ha presentato i suoi emendamenti «non ostruzionistici». Conflitto di interesse, spese elettorali, ma soprattutto sbarramenti: soglia interna alle coalizioni al 2 per cento, e quella per il premio di maggioranza dal 35 al 40. Alla camera anche qualche emendamento di marca Pd (come alcuni del lettiano Francesco Sanna) potrebbero fare da sponda.

Lo sbarramento che tanto gli piace, Renzi lo troverà in parlamento», avverte Migliore, «noi non difendiamo il nostro piccolo partito ma una grande idea di democrazia». Il segretario Pd lascia qualche speranza: lo sbarramento può scendere al 4 per cento «se c’è l’accordo dei contraenti», leggasi Berlusconi. Ma a Vendola chiede di dire «se Sel vuol stare con noi o no». Viva o morta, verrebbe da aggiungere.