Alexis Tsipras e Pablo Iglesias, il leader greco di Syriza e quello di Podemos, in Spagna. Insieme per il comizio conclusivo ad Atene. Insieme per un progetto di Europa che, secondo molti analisti, si ispira al «nuovo rinascimento» latinoamericano e al «Socialismo del XXI secolo».

«Tsipras è l’Hugo Chavez dei Balcani», ha titolato il Wall Street Journal, mentre la stampa spagnola continua a incalzare i dirigenti di Podemos per 425.150 euro di consulenze, percepite in Venezuela e nei paesi dell’Alba da Juan Carlos Monedero.

All’ossessione chavista di alcuni media spagnoli, Iglesias ha risposto che «il Venezuela non è un modello per la Spagna» e che in certi paesi dell’America latina «c’è troppa insicurezza», mentre Monedero ha assicurato che documenterà la provenienza dei soldi incassati per le proprie docenze.

Tsipras non ha invece mai nascosto l’intenzione di voler introdurre in Grecia alcune delle politiche «bolivariane»: «È arrivato il momento di fare tutti insieme un grande passo verso il socialismo del XXI secolo, la storia ci chiama», ha detto alla fine del 2012 durante la conferenza nazionale del suo partito, e in seguito ha dichiarato: «Chavez ha attirato l’attenzione del mondo per il suo governo creativo, operaio, democratico e indipendente e il suo esempio sarà seguito presto o tardi da altri popoli».

Già nel 2007, il leader ellenico andò come osservatore internazionale al referendum costituzionale in Venezuela, unico appuntamento perso di misura da Chavez. A marzo del 2013, era al funerale del presidente venezuelano, scomparso a 58 anni. All’Accademia militare dov’era esposta la salma ha abbracciato i famigliari e ha avuto contatti con i diversi leader e capi di stato dell’America latina presenti. “Allora sei tu il greco che tutti si aspettano diventi primo ministro”, gli avrebbe detto il presidente cubano Raul Castro. E c’è chi ha fatto notare anche una coincidenza di date: sia Chavez che Tsipras sono nati il 28 luglio, seppure con trent’anni di differenza. Il leader ellenico è stato anche in Argentina e in Brasile, ricevuto dalla presidente Dilma Rousseff.

Certo, la Grecia non ha il petrolio e l’Europa delle società «complesse» non è il Sudamerica, né il progetto di Bolivar e della «patria grande» può calzare ad Atene o a Madrid. Ma è indubbio che i 16 anni di esperimento venezuelano e il vento che soffia in gran parte dell’America latina hanno lanciato oltreoceano brani di speranze. Innanzitutto sulla possibilità di uno sbocco a sinistra dalla crisi economica e da quella della rappresentanza politica tradizionale.

Il Venezuela della IV Repubblica e delle democrazie consociative ha mandato in soffitta un sistema asfittico nel 1998. Quando Chavez si è candidato, nessuno avrebbe scommesso una virgola sul suo composito movimento «bolivariano», privo di finanziamenti. Un blocco sociale costituito soprattutto dagli ultimi, dai senza diritti. Ha vinto con oltre il 60%.

Ha affermato Tsipras: «Chavez non ha vinto chiedendo alla gente di votare per il socialismo, ma chiedendo il voto per un cambiamento reale della loro vita». Un cambiamento che ha spostato l’asse attraverso profonde riforme strutturali.

Un giro di boa basato su un diverso schema di alleanze sud-sud, per una nuova sovranità e senza asimmetrie: fino alla creazione del Sucre, una moneta alternativa al dollaro, che funziona all’interno dell’alleanza regionale. Da qui l’accento di Syriza (e di Podemos) sulla questione del debito e la ripresa di sovranità nei confronti della Troika.

La situazione del Venezuela oggi, il sabotaggio interno e internazionale mostra i termini del conflitto: i poteri forti e i fascismi che li servono non si lasceranno scippare la torta. E il giorno che segue alla vittoria è l’inizio di una nuova partita.