La questione democratica è tornata al centro del dibattito europeo. La vicenda del referendum greco seguito dall’accordo dell’eurogruppo, che è valso a porlo nel nulla, riapre la discussione, sia all’interno degli Stati, sia nello spazio ampio dell’Unione europea.

Per quanto riguarda la Grecia bisognerebbe prendere atto che il rispetto del principio della rappresentanza democratica (che impone di non separare la volontà dei governanti da quella espressa dai governati) richiede l’indizione di nuove elezioni.

Il partito di Syriza, guidato da Alexis Tsipras, infatti, ha costruito il proprio consenso, e poi vinto le elezioni, intorno ad un programma di forte contrapposizione alle politiche finanziarie di austerity. Un piano, formalizzato a Salonicco, che prospettava il fallimento delle politiche dell’eurogruppo, immaginando si potesse realizzare una politica economica alternativa. Non solo. Superando ostacoli sia politici (l’avversione dei partner europei), sia costituzionali (il limite di un referendum d’indirizzo su un testo provvisorio di accordo internazionale), sia di democrazia (una decisione che non poteva essere assunta dal solo popolo greco, coinvolgendo gli interessi anche degli altri popoli europei) il governo ha utilizzato lo strumento del referendum, ottenendo uno straordinario successo.

In tal modo ha raddoppiato la propria legittimazione a governare: oltre alle elezioni, dove aveva ottenuto una maggioranza relativa di seggi parlamentari, con il referendum anche la maggioranza assoluta del popolo ha mostrato di condividere la politica anti-austerity del suo governo.

Cosa sia successo dopo è noto e se ne discuterà a lungo, ma non è ora questo il punto.

Sostiene Tsipras che pur non condividendo il contenuto dell’accordo lo ha firmato per salvare il suo Paese. Il meno che può dirsi è che dunque inizia una nuova fase del suo governo, nuovo l’indirizzo politico, nuove le possibili alleanze. Anche ammesso che sia stata una scelta obbligata (ma questo fa già parte del giudizio politico), l’esito della trattativa con l’Europa ha reso palese l’impossibilità di realizzare – qui ed ora – quanto promesso.

Penso sia corretto parlare di sconfitta politica. Può non essere drammatico, può rappresentare «una dura lezione della storia», potrebbe portare a un nuovo e magari brillante inizio. Ma ciò non toglie che la legittimazione democratica che aveva portato Tsipras a vincere le elezioni e il referendum in questo momento è svanita, inghiottita a Bruxelles.

È per questo che sono necessarie nuove elezioni. I sondaggi continuano a dare il leader greco come vincente, anzi negli ultimi giorni sembra siano aumentati i consensi. Bene. Non rimane che esporre il nuovo programma «post-memorandum», per chiarire come si intende proseguire, in una situazione completamente diversa da quella promessa.

Se otterrà il suffragio necessario il governo ri-legittimato potrà andare avanti con coraggio e senza il rischio di venir condizionato all’interno dalle forze responsabili delle passate esperienze. Si eviterà, peraltro, di essere omologati in un abbraccio che può essere mortale e che potrebbe a breve rendere tutti ugualmente ir-responsabili della crisi in cui versa il paese e che – almeno questo lo abbiamo capito – non sarà facile superare.

Se Syriza ha un programma ancora alternativo, sebbene «diversamente alternativo» rispetto a quello di Salonicco, è ora di presentarlo, chiedendo su questo una nuova legittimazione per governare la difficile traversata dentro la crisi.

Questo non risolverà i problemi con l’Europa, dove il deficit democratico appare diventare incolmabile, ma almeno il paese di Pericle non si sarà arreso ai barbari e potrà tornare a lottare.

I leader politici devono saper rilanciare.

È giunto il momento di farlo anche a sinistra. E non solo in Grecia.