A volte ritornano. Stiamo parlando dei minatori delle miniere carbonifere del Donbass che ormai da due settimane hanno incrociato le braccia per protestare contro il mancato pagamento dei salari.

I MINATORI UCRAINI hanno lunga tradizione di organizzazione sindacale. Durante la perestrojka, nel 1989-1990, a Mezdurecensk furono organizzati in tutte le aziende carbonifere dei potenti scioperi che scossero fin dalle fondamenta il potere burocratico. Oggi la situazione è cambiata. Molti pozzi da anni lavorano a singhiozzo e il governo ucraino intende persino chiudere i pozzi dell’azienda Torezkaya di Dzerzinsk. «Troppo inquinante» dicono al ministero dell’energia a Kiev. E così dopo i primi tagli di 5.000 posti di lavoro nel 2014, Dzerzinsk rischia di morire visto che il 56% della ricchezza della città origina proprio dal carbone.

«TUTTO SUONA MOLTO STRANO» dice Michail Volynez, il leader del sindacato indipendente dei minatori ucraini. «Da una parte Poroshenko fa arrivare a Odessa in questi giorni migliaia di tonnellate di carbone americano pagandolo 113 dollari a tonnellata, contro i 70 che costa in Ucraina e gli 80 del Sud Africa, da cui abbiamo comprato negli ultimi anni, e dall’altra chiude i pozzi e non paga i salari ai lavoratori». Inevitabile visti i costi di trasporto e i salari americani. «Un minatore americano guadagna 600 dollari al mese, noi in Ucraina prendiamo dai 200 ai 500 a seconda delle aziende» ricorda Volynez. Può apparire grottesco ma il protezionismo trumpiano si coniuga benissimo con la difesa dell’Ucraina dall’«aggressione russa». La Casa bianca aiuta gli ucraini «a casa loro» vendendogli energia «sporca» a caro prezzo e armi. Il cerchio si chiude perfettamente, visto che poi l’Ucraina paga con i prestiti del Fmi. E alla fine – i conti li sanno fare anche i minatori – non restano soldi per i salari. Come succede nell’azienda carbonifera «Lisancansugol« dove da maggio i lavoratori hanno ricevuto solo anticipi mensili di 650 grivne (circa 22 euro).

IL 30 AGOSTO SONO «CALATI» su Kiev per protestare davanti al dicastero dell’energia e chiedere le dimissioni del ministro. Dopo le rassicurazioni di prammatica sono tornati a casa. Ovviamente non hanno visto nulla e dal 15 settembre sono entrati in sciopero a rotazione. «In questo modo – dice un minatore – non c’è abbastanza personale per lavorare e noi perdiamo solo una parte del salario». Stessa situazione a Mirnograd nell’area della regione di Donetsk controllata dal governo ucraino.

NOVOSTI DONBASS RIPORTA che «dai primi di settembre nessun lavoratore scende più nei pozzi della “Mirnogradugol” per il mancato pagamento dei salari da due mesi e mezzo, restando invece in assemblea permanente». Nell’assemblea generale che si terrà domani, verrà deciso come proseguire la lotta. Il mancato pagamento dei salari è ricorrente in Ucraina anche nelle aziende private. In un paese dove oltre il 58% delle persone vive sotto la soglia della povertà e il 30% delle famiglie non paga bollette il mancato pagamento del salario è ulteriore motivo di degrado sociale: alcolismo e impossibilità di accedere alle cure mediche sono tra i primi motivi di decesso nel paese.

I MINATORI che lavorano in condizioni disastrose sono spesso affetti da antracosi. «Per curarci dalle malattie professionali, visto che ormai tutta la sanità è a pagamento, il sindacato organizza regolarmente delle collette» spiega un minatore al giornale Dyen di Kiev,

La situazione resta difficile anche nelle miniere controllate dalle Repubbliche Popolari. Dopo che – con l’inizio del conflitto nel 2014 – l’oligarca più ricco del paese Rinat Achmetov ha abbandonato

Donetsk le sue miniere sono state nazionalizzate e hanno continuato a produrre, seppur con molte difficoltà, per un paio di anni.

Ma da febbraio Kiev ha isolato il Donbass e anche le forniture di carbone sono state bloccate. Si lavora solo quando giunge una commessa dalla Russia.

IN PRIMAVERA, anche qui i minatori sono scesi in sciopero ma le amministrazione delle «repubbliche ribelli» non possono risolvere un problema più grande di loro. Molti minatori hanno deciso di emigrare in cerca di lavoro nella vicina provincia russa di Rostov sul Don. La situazione economica, del resto, non deve essere eccellente nelle repubbliche popolari se Mosca questa settimana ha ripreso a mandare convogli con aiuti umanitari verso la regione.