America 2019. Anno III era Trump. Il confine meridionale, designato fronte di guerra etnica dall’amministrazione sovranista, sanguina: sono 12 i migranti morti nei campi di prigionia da settembre a oggi, un numero imprecisato – ma comunque migliaia – i bambini separati dai genitori e dispersi nel dedalo securitario di  “dissuasione” agli immigrati.

Con l’umiliante capitolazione di Andrés Manuel Lopez Obrador, si sta replicando in Messico il modello euro-africano, con campi profughi permanenti ammassati al di là del confine, dove i richiedenti asilo vengono rispediti ad aspettare un’udienza che nella maggior parte dei casi non arriverà mai.

Intanto nell’ipertrofico Gulag nazionale, famiglie e bambini  (60.000 persone) sono internati a tempo indeterminato e in condizioni spaventose.

Ha ragione Trump a cantare vittoria: una volta arruolata la guardia nazionale messicana come forza di interdizione offshore, il flusso è bruscamente diminuito: abbinato a retate e deportazioni il progetto eugenetico sta cominciando a dare frutti concreti.

La popolazione dalla pelle bruna è psicologicamente prostrata, Trump ha desistito per ora dall’imporre il certificato di cittadinanza nel censimento nazionale dell’anno prossimo ma il risultato sembra raggiunto lo stesso: politicamente gli ispanici sono sempre più annichiliti.

In retroprospettiva, c’è voluto un attimo per smantellare la mitopoiesi fondativa della “nazione di immigrati” e sostituirla con tolleranza zero e retate notturne; la resistenza interna tutto sommato è stata minima.

Normalizzati il razzismo e la crudeltà come politica nazionale, gli oltranzisti della Casa bianca premono ora sull’acceleratore per sdoganare l’ideologia suprematista come “filosofia politica” secondo il manuale dell’indottrinamento sociale praticato da regimi totalitari “democraticamente” instaurati.

La retorica estrema ed estremizzante trasmigra sempre più dai siti dell’estrema destra esoterica ai discorsi ufficiali.

Come col movimento anti-gender o il negazionismo climatico, la sovversione del razionalismo scientifico e della tradizione democratica diventa dottrina ufficiale.

La censura delle agenzie federali è un dato di fatto: gli scienziati sono diffidati dall’usare le parole “mutamento climatico” in rapporti ufficiali.

Ma non basta.

È stata appena annunciata dal segretario di stato Mike Pompeo una nuova “commissione governativa sui diritti inalienabili”.  Il gruppo, costituito da studiosi e luminari con forti legami in Vaticano (la presidente, Mary Ann Glendon è una antiabortista militante ed ex ambasciatrice a Roma), dovrà, secondo Pompeo, riesaminare la “concezione stessa di diritti umani” ed esprimere “un  pensiero nuovo che tenga conto di quanto la loro assegnazione si sia distaccata dai concetti originari di legge e diritti naturali”.

Il “pensiero nuovo”, a malapena camuffato da una patina pseudo-intellettuale, riecheggia quelli che si leggono su di siti estrema destra a proposito della necessità di eliminare i diritti politicamente conquistati, in quanto espressione della “concezione contrattualistica della società liberale”, e di tornare invece al diritto divino o “naturale”.

Ed ecco che il “pensiero nuovo” di Trump e Pompeo sprigiona l’olezzo delle pulsioni più reazionarie.

La dichiarata missione della commissione, di tornare ai diritti “originari” della Costituzione americana, implica l’esclusione di diritti “spuri” – quelli conquistati dopo il verbo sacro dei padri fondatori.  In una società che per 250 anni ha emendato la carta originale con i diritti conquistati col sangue e la lotta politica, le “eresie” comprendono presumibilmente l’emancipazione degli schiavi, il voto a neri e donne, l’integrazione delle minoranze, ultime delle quali quelle LGBTQI.

Gli emendamenti alla Carta, a Pompeo, ex direttore della CIA, membro della Heritage Foundation e vicino all’Opus Dei, negazionista, omofobo, e torturatore, evidentemente proprio non vanno giù. Appena sotto la patina pseudo-filosofica della sua commissione si annida la restaurazione dello Ius divino e il Blut und Boden (sangue e suolo)  a cui inneggiano neonazisti e nostalgici.

Come per i giudici “costruzionisti” dell’odierna maggioranza conservatrice della corte suprema, il progetto è di riportare indietro l’orologio politico di un paio di secoli, di azzerare non più solo Martin Luther King o il New Deal ma la rivoluzione francese.

Assunto il potere, un manipolo di bannonisti e apocalittici teocon si apprestano a raddrizzare l’arco morale della storia che secondo King si incurvava verso la giustizia, e farne un vettore che va dritto verso un mondo integralista e retrogrado.

Un mondo in cui la dichiarazione universale dei diritti umani adottata dalle Nazioni unite nel 1948 è una postilla apocrifa da rimuovere dalla storia.

La normalizzazione degli estremismi non ha tregua.

La settimana scorsa la Casa bianca ha convocato il “summit del social media”, un consesso di troll di estrema destra, col pretesto di combattere la “censura” cui le “voci conservatrici” sarebbero oggetto sulle piattaforme social.

Trump ha accolto ammiccante i partecipanti, fra cui gli esponenti dei siti apertamente suprematisti che ama ri-twittare (“vi voglio bene, anche se alcuni di voi siete un po’ birbanti”). Il convegno sulla libertà d’espressione era off limits ai giornalisti (nemici della patria) e riservato invece alle narrazioni semplificate e manichee che alimentano il livore della “base”, quel 40% circa della popolazione che, sufficientemente mobilitato, basterà alla minoranza trumpiana per mantenere il potere.

Una prospettiva terrificante, ancorché plausibile, la cui premessa fondamentale è la mistificazione politica e dialettica ogni giorno più pervasiva.