Washington è sola. Gli Stati Uniti ieri hanno posto il veto alla risoluzione su Gerusalemme presentata dall’Egitto al Consiglio di Sicurezza dell’Onu dopo il riconoscimento di Gerusalemme capitale d’Israele da parte di Donald Trump. Tutti gli altri 14 membri del CdS hanno votato a favore. Senza menzionare esplicitamente Trump, né gli Stati Uniti, il testo affermava che «le decisioni e azioni che pretendono di alterare lo status della Città Santa di Gerusalemme non hanno alcun effetto giuridico, sono nulle e devono essere annullate in conformità con le pertinenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu». E richiedeva che «tutti gli Stati membri osservino le risoluzioni del Consiglio riguardanti Gerusalemme e non riconoscano nessuna azione o misura contraria a tali risoluzioni». Ad aumentare l’isolamento degli Usa è stato il via libera alla risoluzione della Francia e della Gran Bretagna, il principale alleato di Washington in Europa. Immediato è stato il ringraziamento del premier Benjamin Netanyahu agli Usa per aver posto il veto. «Nella festa (ebraica) di Hanukkà hai acceso la luce della verità e cacciato il buio. Uno trionfa su molti, la verità prevale sulla menzogna. Grazie presidente Trump», ha detto il primo ministro israeliano.

Alla rovescia, come sempre, è stata la lettura della questione offerta dall’ambasciatrice statunitense all’Onu, Nikki Haley, falco tra i falchi dell’Amministrazione. Preannunciando il veto, la Haley aveva spiegato che non è la dichiarazione di Trump – che dal 6 novembre sta incendiando il Medio Oriente – ma «simili risoluzioni» che allontanano «la pace» tra israeliani e palestinesi. L’ambasciatrice, alleata di ferro di Israele all’Onu, ha citato come esempio, a suo dire negativo, la risoluzione di condanna degli insediamenti coloniali israeliani – costruiti in violazione della legalità internazionale – approvata nel dicembre di un anno fa grazie all’astensione dell’Amministrazione Obama. Ieri dopo il voto Haley ha reagito con stizza. «Quello a cui abbiamo assistito qui in Consiglio di Sicurezza è un insulto. Non sarà dimenticato». Quindi ha motivato il ricorso al veto con la necessità di difendere «la sovranità americana e del ruolo degli Usa nel processo di pace in Medio Oriente» e ricordato che saranno i negoziati tra israeliani e palestinesi a decidere i confini a Gerusalemme.

Trattative, solo teoriche, alle quali l’Autorità nazionale palestinese (Anp) dice di non volere più gli Stati Uniti come mediatori, un ruolo che, ha spiegato il presidente Abu Mazen una settimana fa al summit islamico di Istanbul, Washington ha perduto con il riconoscimento di Gerusalemme capitale di Israele fatto da Trump in violazione con quanto stabilito dagli accordi di Oslo del 1993. Ora l’Anp si rivolgerà all’Assemblea generale dell’Onu per chiedere l’approvazione della risoluzione bloccata dagli Usa. L’esito positivo è scontato ma non avrà riflessi sul terreno. «Non sono molte le armi che può usare Abu Mazen oltre a quella di internazionalizzare la crisi e impedire che gli Usa tornino a mediare in un ipotetico negoziato», spiega al manifesto l’analista Ghassan Khatib. «I palestinesi non devono temere possibili ripercussioni economiche per le loro scelte», esorta Khatib, «e possono fare a meno anche dell’aiuto finanziario americano perché è diretto solo ai servizi di sicurezza e al finanziamento di alcuni progetti civili».

Proprio la sicurezza, o più precisamente la cooperazione di sicurezza con Israele, resta il punto debole della “linea della fermezza” che l’Anp afferma di voler portare avanti. Abu Mazen nonostante le pressioni della sua popolazione e le proteste delle forze d’opposizione, come il Fronte popolare e gli islamisti di Hamas, non l’ha sospesa e i servizi di sicurezza ai suoi ordini compiono frequenti arresti di palestinesi indicati da Israele come «terroristi». A indebolire il presidente è inoltre il mancato successo, almeno per ora, della riconciliazione con Hamas che controlla la Striscia di Gaza. Il movimento islamico non ha risposto all’invito a partecipare ai lavori del Consiglio Nazionale dell’Olp che si è riunito ieri per valutare una possibile dichiarazione dello Stato palestinese come uno Stato esistente. Abu Mazen oggi vedrà a Riyadh re Salman, ormai stretto alleato di Israele dietro le quinte e accusato dai palestinesi di non aver preso una posizione netta contro Trump. Ieri il sovrano saudita ha ricevuto con grandi onori il direttore della Cia, Mike Pompeo.