Il ritratto degli Stati uniti proposto da Alan Friedman nel suo ultimo libro Questa non è l’America (Newton Compton editore, pp.348, euro 12,90) è quello di un paese lacerato, ferito, imbruttito dalla crisi economica che ha finito per consegnare alla povertà larghe fasce di popolazione cresciute con il mito del «sogno americano». Non che mancassero avvisaglie ma di certo questa immagine nitida che Friedman ricostruisce a partire dai drammi di persone semplici, fino ad arrivare alla gretta mentalità da reality show dell’attuale presidente degli Stati uniti, giunge un po’ troppo tardi.

DEL RESTO, LA VITTORIA di Trump ha cavalcato proprio questa onda «populista» focalizzata contro il «racconto» di un’America che non trovava riscontro nella vita dei tanti che improvvisamente si sono ritrovati poveri. E alcuni di questi, come la lavoratrice Walmart licenziata perché incinta e poi di nuovo assunta al minimo di stipendio, hanno visto proprio in Trump la soluzione.

SI TRATTA DI CONTRADDIZIONI oppure il populismo è la lineare conseguenza politica di uno sviluppo economico che affonda i denti tra i più poveri, alienandoli da qualsiasi legame con lo «stato», finendo per consegnarli mani e piedi al demagogo di turno? È la domanda cui forse bisogna rispondere, non solo negli States. Il paese descritto da Friedman che, in questo caso, finisce di occuparsi di processi più globali, rispetto all’attenzione per le biografie dei leader, è il paese sottoposto alla cura neoliberista: l’annientamento di qualsiasi concetto di «stato» e di «comunità», in nome dell’isolamento e dell’alienazione di gran parte della popolazione. Walmart è un esempio calzante: un sistema economico che sfrutta, lucra sul welfare, lasciandolo interamente all’assistenzialismo statale, costringendo poi i propri dipendenti a fare la spesa sul luogo di lavoro. Un sistema che inizia e finisce nello stesso posto.

NITA, LA LAVORATRICE Walmart di cui si è occupato Friedman, «tira avanti con lo stipendio da 1100 dollari lordi. L’affitto le costa 395 dollari al mese, gli accordi per il fallimento le portano via altri 400 dollari al mese e l’assicurazione della macchina altri 402 dollari. Le bollette di acqua e luce, più o meno altri 90 dollari al mese». Eccola l’immagine che giornalisti da una vita negli Stati uniti non sono riusciti a raccontarci, forse perché non la conoscono per niente: persone fallite, come fossero un’azienda o una banca, indebitate, talvolta costrette a vivere in baracche, ma con la macchina parcheggiata di fronte alla sconsolata dimora. Gli Stati uniti sono anche questo: un paese che indebita i poveracci, per presentarsi poi al resto del mondo come un baluardo di libertà.

O ANCORA LA SANITÀ: Trump non costituisce niente di nuovo; rappresenta quella parte di popolazione e classe politica che ritiene la società un terreno dove giocarsi la sopravvivenza. A chi far pagare dunque le spese mediche? Ai poveri. Ma tra i perdenti della globalizzazione non ci sono solo i «nuovi poveri» o quelli che nella miseria ci sono nati; ci sono anche gli «sconfitti» di un ciclo economico-politico: i razzisti e i capitalisti fatti fuori dal periodo obamiano. Sono gli ex Goldman Sachs, i petrolieri, la lobby degli idrocarburi: camarille che Obama ha escluso dal potere e che hanno utilizzato le mancanze del periodo obamiano per sfruttare il malcontento e tornare al potere. L’amministrazione Trump rappresenta dunque il paese, in pieno, a discapito del titolo del volume di Friedman.
È questa l’America di oggi, troppo poco «narrata» dai media nazionali e perfino dal mainstream italiano. Un esempio chiarissimo si trova nel capitolo nel quale Friedman racconta, in modo piuttosto teatrale, l’incontro di Trump con l’intellighenzia di Silicon Valley.

APPLE, FACEBOOK, Ibm, Ebay rappresentano l’America che fino a pochi giorni prima dell’elezione di Trump pensavamo fosse potente e in grado di arginare un cortocircuito come quello trumpista. E invece, una volta concepita la sconfitta, eccoli a lesinare attenzione per «rassicurare» le proprie aziende. L’America è questa, d’altronde: un paese capace di proiettare un’immagine rassicurante, nonostante la violenza sociale che dopo anni di sedimentazioni erutta con un fenomeno come quello rappresentato da Trump. Una persona che in fondo, e forse suo malgrado, la rappresenta proprio tutta.