Donald Trump è finalmente andato a Porto Rico, il territorio non incorporato degli Usa ma colpito da due uragani devastanti che hanno lasciato l’isola senza elettricità, cibo e acqua potabile. Trump ha invitato i funzionari locali a essere felici per non aver perso migliaia di vite come «in una vera e propria catastrofe tipo Katrina». Ha poi aggiunto che il territorio devastato dell’isola sta comunque portando il bilancio della nazione «un po’ fuori carreggiata».

LE OSSERVAZIONI DI TRUMP sono arrivate nel mezzo di una dura critica dei portoricani, per via della risposta lenta del governo nel dare aiuti, e dopo che lo stesso presidente aveva lodato il proprio operato nel gestire l’emergenza. Senza ascoltare i portoricani che da settimane non hanno medicine, non possono bere acqua potabile, non hanno più ospedali degni di questo nome.

«Ogni morte è un orrore – ha detto Trump da Porto Rico – ma se si guarda a una vera e propria catastrofe come Katrina e alle centinaia di persone che sono morte e a quello che è successo qui, in realtà solo una tempesta, si vede che ciò che è accaduto è stato diverso. Qual è il conto dei morti fino a questo momento? 17? 16 persone certificate, 16 persone rispetto a migliaia». Poca roba insomma.

NONOSTANTE LE LODI che Trump ha fatto a sé stesso e alla sua capacità di gestione di questa emergenza, la risposta che ha dato a Porto Rico è stata molto diversa da quella riservata alla Florida e al Texas, dove Trump era andato ben due volte la settimana dell’arrivo dell’uragano Harvey, controllando personalmente gli sforzi di soccorso e per consolare distribuendo abbracci.

Nel caso di Porto Rico il presidente è scomparso, ritirandosi per un lungo weekend nel suo club privato a Bedminster, in New Jersey, da dove ha attaccato il sindaco della capitale, San Juan, Carmen Yulín Cruz, che in lacrime illustrava la situazione sull’isola sull’orlo della catastrofe umanitaria, supplicando il presidente di farsi carico di un territorio che fa parte degli Usa, ma che evidentemente gli Usa trattano da colonia.

LA VISITA DI TRUMP a Porto Rico è avvenuta durante un’altra tragedia, quella del mass shooting di Las Vegas dove sono morte almeno 59 persone e più di 500 sono state ferite; oggi, mercoledì, Trump sarà a Las Vegas ma già da Porto Rico ha iniziato a esprimere il suo pensiero. «L’azione folle di un pazzo» è stata l’analisi di Trump, nonostante gli analisti e gli esperti Usa abbiano più volte detto che non pare il ritratto di una strage commessa da un folle.

NEI CASI DI UNA STRAGE per mano di un «folle», le testimonianze di colleghi, parenti e amici forniscono elementi che, in poco tempo, permettono di ricostruire la sua storia medica o almeno le condizioni psicologiche di chi ha commesso la strage, così come accaduto in altri casi, come quello del mass shooting di Sandy Hook, in Connecticut, dove 5 anni fa sono stati uccisi 20 bambini delle elementari. Non è questo il caso di Las Vegas, che anzi resta assolutamente oscuro. E anche nell’ipotesi del gesto di un «pazzo», andrebbe ricordato che proprio Trump ha liberalizzato la vendita di armi per i soggetti instabili e con diagnosi psicologiche preoccupanti.

LA MINORANZA DEMOCRATICA ha, nuovamente, riportato al congresso la richiesta di una revisione del diritto alle armi, chiedendo regole più restrittive. «Ne parleremo» ha assicurato Trump, ma non sembra ci siano margini per una nuova legge sulla regolamentazione delle armi, con un presidente che si definisce «il miglior amico della Nra», la lobby delle armi americana. L’unico risultato è stato quello di far dichiarare allo speaker repubblicano Paul Ryan, il congelamento del progetto sui silenziatori voluto proprio dalla Nra. Interrogato a proposito di nuove leggi l’ex chief strategist Steve Bannon ha affermato: «Trump non cambierà rotta, sarebbe la fine di tutto».