Il Washington Post ha rivelato che in un rapporto del Dipartimento della difesa sono state apportate delle modifiche per de-enfatizzare le minacce che il cambiamento climatico pone alle basi e alle installazioni militari americane, attenuando o rimuovendo ogni riferimento ai cambiamenti climatici e ai potenziali rischi dell’innalzamento del livello dell’acqua negli oceani.

LA PRIMA VERSIONE del documento, datata dicembre 2016, contiene infatti numerosi riferimenti a «cambiamenti climatici», che nella relazione finale presentata al Congresso nel gennaio 2018, sono stati omessi oppure sostituiti con «clima estremo» o semplicemente «clima».

PER ESSERE SPECIFICI l’espressione «cambiamento climatico» nella bozza del rapporto compare in 23 occasioni, mentre nella versione finale viene usata una sola volta.

Queste modifiche suggeriscono che il Pentagono ha dovuto adattare il suo approccio nella discussione sui cambiamenti climatici, al fine di stare fuori da un dibattito politicamente pesante e adeguarsi a Trump, che ha sempre manifestato il proprio scetticismo al riguardo.

Secondo John Conger, ora direttore del Centro per il clima e la sicurezza, dopo essere stato al Pentagono sotto l’amministrazione Obama e nel team che si è occupato di avviare il rapporto in questione, le modifiche apportate al documento «cambiano il sentimento di urgenza nel rapporto, ma non la sua conclusione fondamentale, vale a dire che le nostre installazioni militari stanno subendo l’effetto degli impatti climatici».

NEL DOCUMENTO FINALE si legge che su oltre 3.500 siti militari, 782 hanno riferito di essere stati colpiti dalla siccità, 763 da importanti eventi eolici e 706 da inondazioni; la bozza del dicembre 2016 era molto più diretta nella sua discussione sui cambiamenti climatici e in particolare sulla questione dell’aumento del livello del mare, problema che affligge molti siti militari nelle aree costiere, dalla base navale di Norfolk in Virginia, al Reagan Ballistic Missile Defense Test Site nelle remote isole Marshall del Pacifico.
Il documento finale del Pentagono omette persino la semplice osservazione che l’apprendimento della vulnerabilità delle basi per via dell’innalzamento del livello del mare, è di per sé una parte fondamentale dell’indagine e oggetto del rapporto.

«FINCHÉ SI TRATTA DI NON DIRE ‘clima’, posso farlo – ha detto Dennis McGinn, vice ammiraglio della Marina in pensione anche lui parte dell’amministrazione Obama – ma le mappe di aree critiche in allagamento, sono fondamentali, non solo per il Dipartimento della difesa, ma anche per la Guardia costiera e per le spedizioni commerciali ». La decisione da parte del Pentagono di usare cautela nell’esprimersi nei rapporti ufficiali, è giustificata non solo dalle affermazioni di Trump ma da ogni decisione presa sul clima; l’ultima in cronologia è stata quella di cancellare i finanziamenti al sistema della Nasa voluto da Obama per monitorare le emissioni dei diversi paesi, il Carbon Monitoring System, che controllava chi non rispettava i limiti imposti dagli accordi di Parigi, da cui Trump è uscito.

I 10 MILIONI DI DOLLARI all’anno destinati a far funzionare gli strumenti per il monitoraggio sono ora inutili, per il presidente e destinati ad altro. La decisione è stata presa nonostante il Congresso abbia sempre bloccato i tagli al budget della Nasa, ma per bypassare il Congresso l’amministrazione è ricorsa a un cavillo tecnico.