Messo all’angolo dalle incoscienti sanzioni economiche decise da Donald Trump, l’Iran ieri è tornato a minacciare il blocco dello Stretto di Hormuz per il quale transita quasi un terzo di tutto il greggio trasportato via mare. A fare la voce grossa è stato Alireza Tangsiri, comandante della Marina delle Guardie della rivoluzione. «Lo Stretto di Hormuz è una rotta di navigazione internazionale e se ci verrà vietato di usarla (per trasportare il nostro petrolio, ndr), la chiuderemo», ha ammonito Tangsiri. Se ci saranno minacce, ha aggiunto, «non avremo altra scelta che difendere le nostre acque».

Frasi pronunciate mentre la Casa Bianca annunciava l’intenzione di «azzerare le esportazioni» di petrolio dell’Iran stabilendo che dal 2 maggio gli Usa non rinnoveranno le esenzioni di 180 giorni concesse ad otto paesi, tra cui l’Italia, per quanto riguarda la cessazione delle importazioni di petrolio dall’Iran. Il governo Conte ha già obbedito al diktat di Trump e altrettanto ha fatto il premier greco “socialista” Tsipras. Anche Taiwan ha messo fine all’acquisto di greggio iraniano. Gli altri cinque paesi – Cina, India, Turchia, Giappone e Corea del Sud – invece non hanno cessato le importazioni. Pechino, che acquista dall’Iran circa la metà del suo fabbisogno di greggio, afferma che «proteggerà i suoi legittimi diritti». Un secco no giunge anche dalla Turchia. Il ministro degli esteri Cavusoglu ha avvertito che la decisione di Washington «non servirà alla pace ed alla stabilità regionale, oltre a danneggiare i cittadini iraniani».

È chiaro che Tehran ricorrerà alla chiusura di Hormuz come extrema ratio. Sa che questo passo darebbe a Washington e ai suoi principali alleati in Medio oriente, Israele e Arabia saudita, il pretesto per lanciare un’ampia offensiva militare contro la Repubblica islamica. Allo stesso tempo un Iran soffocato dalle sanzioni Usa potrebbe cercare nello scontro militare la strada per azzerare la pressione esterna. I segnali vanno in quella direzione. L’ayatollah Ali Khamenei, la guida suprema iraniana, in sostituzione del generale Mohammad Ali Jafari ha nominato Hossein Salami nuovo capo dei Guardiani della rivoluzione. Salami, un veterano della guerra Iran-Iraq del 1980-88, è noto per essere un fautore della linea dura.

La sua nomina indica che l’aggressività di Trump favorisce i falchi nell’establishment iraniano a svantaggio dei settori più moderati che fanno riferimento al presidente Hassan Rohani sostenitore nel 2015 della firma dell’accordo sul programma di produzione di energia nucleare dell’Iran con i cinque paesi membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu più la Germania. Accordo dal quale un anno fa gli Stati uniti sono usciti aprendo la crisi che potrebbe far sprofondare il Medio oriente in una nuova guerra. Senza dimenticare i riflessi che l’impennata di tensione sta già avendo sulla corsa del prezzo del petrolio sebbene l’Arabia saudita e, a sorpresa, l’Iraq alleato di Tehran, si siano detti pronti a colmare la differenza nel flusso del greggio dopo l’azzeramento delle esportazioni iraniane.

Donald Trump, che sostiene di voler impedire che l’Iran produca armi nucleari e cessi il suo programma missilistico, ieri ha colto l’occasione per lanciare l’ennesimo attacco a John Kerry, segretario di stato durante il secondo mandato di Barack Obama e tra i protagonisti principali della firma dell’accordo del 2015. «All’Iran è stato dato un consiglio molto cattivo da parte di John Kerry e dalle persone che lo hanno aiutato a portare gli Usa nel pessimo accordo sul nucleare iraniano», ha twittato Trump arrivando ad ipotizzare l’ex segretario di stato «una grande violazione del Logan Act», la legge che criminalizza i negoziati da parte di persone non autorizzate con governi stranieri in conflitto con gli Stati Uniti.

Festeggia soddisfatto Benyamin Netanyahu. L’Amministrazione Usa porta avanti ciò che il premier israeliano chiedeva da anni contro l’Iran, contro i palestinesi e per dare un «nuovo ordine» al Medio oriente. «Siamo a fianco degli Stati Uniti nella loro determinazione contro l’aggressione iraniana e questo è il modo giusto per fermarla», ha detto ieri il leader israeliano.