«A Cuba converrebbe fare la scelta corretta, così potremo dar vita a un’apertura». Con un linguaggio mafioso – che ricorda la «proposta che non potete rifiutare» fatta da Marlon Brando nella parte del Padrino – Donald Trump è tornato a minacciare il governo dell’Avana. O butta a mare il presidente venezuelano Maduro o dovrà subire un «embargo molto duro» con «sanzioni di maggior livello».

THE DONALD HA ESTRATTO ancora una volta la pistola dell’embargo il giorno dopo aver messo in vigore il Titolo III della legge Helms-Burton, che i suoi predecessori avevano tenuto nel cassetto per più di vent’anni. In base a questo ulteriore livello di misure contro Cuba, qualsiasi cittadino statunitense può rivalersi presso un tribunale degli Usa contro chi «fa uso» di proprietà confiscate dal governo rivoluzionario instaurato a Cuba nel 1959.

E le prime denunce sono partite proprio martedì. Gli eredi della compagnia che gestiva le istallazioni portuarie all’Avana e a Santiago di Cuba hanno denunciato presso un tribunale federale di Miami la compagnia navale Carnival, che organizza crociere a Cuba e usa le istallazioni a suo tempo nazionalizzate. Una seconda raffica di denunce sono in corso contro compagnie spagnole – come la Melia – per installazioni turistiche a Cuba in terreni espropriati dalla Rivoluzione.
Il proposito di queste nuove misure è di «colpire lo sviluppo economico di Cuba, attaccare la sovranità di paesi terzi, asfissiare economicamente e distruggere la Rivoluzione cubana», ha affermato la viceministro degli Esteri, Ana Teresita González Fraga.

Per ora le compagnie sotto denuncia hanno confermato che continueranno la loro attività nell’isola. Quelle spagnole appoggiate dalla dichiarazione della responsabile dei rapporti internazionali dell’Ue, Federica Mogherini che, riferendosi all’attivazione delle misure extraterritoriali dell’embargo, ha affermato che «provocano tensioni non necessarie e minano la fiducia dell’associazione transatlantica» oltre «a contravvenire al diritto internazionale». L’Ue minaccia contromisure all’interno dell’Organizzazione mondiale del commercio.

Come visto, la risposta di Trump è come un secchio di acqua gelata gettata sulle proteste. «Basta che Cuba faccia quello che dico io e ci metteremo d’accordo»: la tesi del presidente Usa e della sua Amministrazione di falchi è che vi siano «25.000 cubani armati in Venezuela» e che, se il presidente Maduro resiste è solo «per il sostegno di Cuba e della Russia».

«BOLTON È UN BUGIARDO» ha risposto nei giorni scorsi il ministro degli Esteri cubano, Bruno Rodríguez , ribadendo il carattere pacifico delle missioni cubane composte da medici, insegnanti e allenatori sportivi «per il 60% donne». Ma le accuse dell’Avana scorrono come acqua in strade bagnate. Il Washington Post nei giorni scorsi ha calcolato che, dal suo insediamento, Trump ha mentito, su Twitter come in dichiarazioni, «10.000 volte».

Una in più, poco male. L’unica strategia di tale Amministrazione è abbattere il governo bolivariano del Venezuela. Certo per riprendere il controllo delle maggiori riserve di greggio e gas del mondo, ma anche per riportare tutta l’America latina nel «patio trasero» degli Usa. In guerra col mondo intero, Trump ha bisogno che il cortile di casa sia in ordine. E dunque di mettere fine al «socialismo cubano» che della ribellione alla dottrina Monroe è il faro ideologico e l’esempio pratico. Per ottenere questo risultato «tutte le opzioni sono sul tavolo» è il refrain di Trump and Co., dall’intervento militare, alle forme già in corso di guerre non convenzionali, in primis la disinformazione fatta di fake news.

«IN VENEZUELA E A CUBA si definisce, molto probabilmente il futuro della libertà e la vera democrazia» scriveva ieri il quotidiano del Pc Granma. Lo scontro con Trump è un prezzo che il vertice cubano si dice pronto a pagare. È evidente però la preoccupazione e l’ansia che tale decisione comporta. Lo stesso Raúl Castro ha avvertito la popolazione che vi è la possibilità che «le cose peggiorino». Ma già oggi la vita nell’isola è difficile. Scarseggiano vari generi di prima necessità, le code si allungano di fronte a negozi che vendono qualcosa di utile, i servizi peggiorano. La strategia posta in atto dal governo si basa su un incremento della produzione agricola e in generale per la sostituzione delle importazioni che – in un momento di crisi di liquidità – sono diminuite. Incentivi vengono dati alla costruzione di abitazioni per colmare il deficit abitativo. Ma si tratta di misure che richiedono tempo. E il tempo è proprio quello che Trump intende negare.