Nella risposta a Donald Trump la California sta dando il meglio di se. L’altro ieri il comizio di Trump a San Diego ha provocato l’ennesima protesta con migliaia di contestatori che hanno presidiato il convention center e invaso il lungomare nei pressi del raduno trumpista. Festosa e indignata alla presenza del populista xenofobo nella loro città a 30 km dal confine messicano, i manifestanti, molti giovani, molti «latinos», hanno bruciato cartelli e materiali elettorali di Trump invitandolo a lasciare lo stato.

Nella folla sono sventolate numerose bandiere messicane, simbolo della popolazione ispanica che da qualche anno costituisce la pluralità etnica della California (il 39% rispetto al 38% di bianchi). Al contatto con gli imponenti cordoni di polizia in assetto antisommossa sono seguiti tafferugli e la reazione violenta dei celerini; una dozzina di persone sono state arrestate.

La caotica scena di San Diego è il risultato diretto del disinvolto razzismo con cui Trump ha condito le sue esternazioni su immigrati e “anti americanismo” e che ora, nello stato più multietnico stanno avendo le inevitabili conseguenze. Sin da quando il mese scorso è stato costretto dai manifestanti ad usare un entrata laterale protetto da pesante scorta per accedere al congresso repubblicano a San Francisco, la California ha espresso un rifiuto popolare alle sue provocazioni.

La tensione sempre più esasperata non ha impedito a Trump di seguire imperterrito sulla strada della retorica incendiaria. In un altro comizio, sempre venerdì, a Fresno, nelle retrovie agricole della Central Valley, il miliardario ha seguito il consueto tracotante copione promettendo di costruire il muro anti-messicani e «di farlo pagare al Messico», meme ormai della liturgia trumpiana accolto con ovazione dai sostenitori benchè non abbia alcuna possibilità (ne probabile intenzione) di attuarlo. Ma le politiche programmatiche sono l’ultima delle considerazioni nel teatro mediatico dei suoi interventi, tutti volti alla spettacolarità e alla catarsi momentanea della folla cui egli promette la liberazione dalla correttezza politica e dalle «sfumature artefatte delle élites». Nel mondo amnesico e twittabile di Trump affermazioni e smentite si mescolano nel calderone di un news cycle sempre mutabile.

Venerdì mattina Trump parlava ancora di come avrebbe organizzato il dibattito con Bernie Sanders come un grande business che avrebbe raccolto $10-$15 milioni in beneficenza a favore della salute delle donne («amo le donne, e loro amano me!»). Poche ore dopo, senza sorpresa di nessuno ha annunciato che il dibattito non ci sarebbe stato, avendo la semplice ipotesi comunque raggiunto lo scopo di tenerlo al centro dell’attenzione mediatica per altre 48 ore.

Consuetamente, appena scagliata l’ultima provocazione, Trump è già passato oltre. Nella fattispecie oggi ad un meet-up di motociclisti (suoi grandi sostenitori) per celebrare i reduci di guerra (e criticare le «scuse» di Obama ad Hiroshima). Mentre le tensioni californiane testimoniano lo strascico velenoso che al di la dei risultati elettorali del 7 giugno, la sua campagna ha già seminato nel paese.