Alla faccia della rottamazione. Il presidente degli Stati uniti Donald Trump, tra un viaggio elettorale e l’altro in vista del voto di midterm, ha «semplicemente» annunciato che gli Stati uniti potrebbero ritirarsi non da un accordo vintage qualsiasi, ma da quello che probabilmente è il più importante e decisivo trattato mai sottoscritto nel dopoguerra: quello firmato nel 1987 dal presidente dell’Unione sovietica Michail Gorbaciov e dal presidente americano Ronald Reagan, che pose fine di fatto alla guerra fredda – l’accordo portò alla distruzione di 2.692 missili, 846 americani e 1846 russi -, avviando così il disgelo tra Est e Ovest (i sommovimenti del 1989 si mossero, solo in parte, anche su quella scia).

E aprendo la strada ad un riequilibrio mondiale del quale si avvalse subito la stagione di una nuova Europa che ne uscì rafforzata nella leadership e che, da quel momento in poi, non avrebbe più dovuto essere solo la base di posizionamento degli euromissili puntati sull’Unione sovietica. Fu uno smacco per i tanti “Dottor Stranamore” sempre pronti all’uso deterrente dell’arma atomica già «sperimentata» una prima volta su cavie umane a Hiroshima e Nagasaki e qui e là in tanti deserti-laboratori con relativa devastazione della terra. E invece ora lo spettro torna a concretizzarsi.

La comunicazione dell’era Trump fa parte della realtà.

Perché Trump, quasi scoprendo le carte dello scontro sotterraneo che l’Occidente ha aperto dall’89 con Mosca, accusa la Russia di Putin di non rispettare l’accordo con l’allestimento di nuovi sistema d’arma che per Mosca non contraddicono affatto quel trattato. Ma tutti sanno che l’allestimento c’è; e che, come tutti sanno, è la risposta al fatto che da anni, almeno dalla presidenza di George W. Bush, con la scusa del terrorismo e dopo l’11 settembre, gli Stati uniti hanno avviato un sistema di Scudo antimissile in alcuni Paesi dell’Est a ridosso e tutto intorno al territorio russo, solo in parte dell’ex Urss. Accerchiamento completato con la nefasta strategia dell’allargamento a est della Nato, l’Alleanza atlantica che non solo esiste ancora ma che dal 2004 ha inglobato – tranne la Russia – tutti i Paesi dell’ex Patto di Varsavia – che non esiste più – e si avvia a discutere l’ingresso di Ucraina e Georgia, territori ex sovietici.

Sono in discussione dunque le sorti della pace, già lacerata dalle troppe guerre che l’Occidente ha seminato in giro, e ora sotto la cappa del riarmo atomico possibile. Subito in Europa, che rischia di tornare ad essere la minacciosa base di lancio delle micidiali ogive nucleari; e per l’Asia, dove non sfugge a Pechino che l’annuncio di Trump punta al riarmo atomico in funzione anti Cina, contro la sua nuova potenza ed egemonia economica.

La notizia, dicono i commentatori, era nell’aria. Soprattutto era sotto gli occhi di tutti, di fronte al silenzio dei governi europei, la ri-dislocazione da più di un decennio sul territorio del Vecchio continente di centinaia di bombe atomiche non più residuo della Guerra fredda ma ormai arsenale prezioso tecnologicamente riammodernato o in via di ammodernamento, con investimenti bipartisan Usa di decine di miliardi di dollari. L’arrivo del consigliere guerrafondaio John Bolton a Mosca in queste ore serve probabilmente allo scopo di annunciare le volontà della Casa bianca. Come non sfugge il fatto che l’annuncio di Trump avviene a due settimane dal voto di midterm, di straordinario rilievo proprio sulla sua presidenza; il cui vero tallone d’Achille resta il Russiagate, che lo vuole imputato di essere stato sostenuto proprio da Mosca nella sua sorprendente elezione due anni fa. Adesso, chi avrà il coraggio di continuare ad accusarlo di questo di fronte al fatto che il presidente rompe, così rumorosamente e irresponsabilmente, proprio con la Russia?

Comunque sia, la minaccia che, secondo le abitudini di Trump sta per diventare realtà, pesa come un macigno sulle sorti dell’Europa ben più della guerra dei dazi, della quale probabilmente è il corollario necessario, indirizzando e condizionando da subito nuovi scenari su spese e bilanci della difesa dei Paesi Ue. Perché l’Europa non è diventata, la «Casa comune», aperta a tutte le dinamiche democratiche dell’est, che voleva nel 1987-88 Michail Gorbaciov – non a caso duramente contrario all’annuncio di Trump, perché ha detto: «Vanifica tutti gli sforzi fatti per scongiurare il riarmo».

Ora l’Europa è alle prese con la voragine dei sovranismi nazionali contrapposti, è arroccata sulla moneta e sui mercati finanziari, nasconde i nodi sociali della sua crisi, stenta a rappresentarsi come compagine democratica unitaria; e sempre di più appare come appendice della consolidata Nato che vive dell’abbraccio economico-militare con gli Usa. Adesso con Trump la guerra atomica minaccia di tornare calda. Non è un vintage alla moda ma terrore puro, altro che jihad. E non si intravvede per ora all’orizzonte una volontà e una «potenza mondiale» alternativa, come veniva salutato il nuovo pacifismo solo 15 anni fa.