Donald Trump e il re saudita Salman hanno affabilmente parlato ieri al telefono dell’attacco ordinato nella notte tra giovedì e venerdì dal presidente americano contro la base aerea siriana di Shayrat. Salman ha ribadito tutto il suo apprezzamento per quella che ha, di nuovo, descritto come una «decisione coraggiosa che serve gli interessi regionali e del mondo». Dopo le tensioni degli anni di Barack Obama alla Casa Bianca, le relazioni tra Washington e Riyadh sono di nuovo «back on track», sul binario giusto, grazie ai 59 missili Tomahawk lanciati contro la base siriana. Ieri mentre il “Custode di Mecca e Medina” e il tycoon discorrevano dei passi successivi da muovere in Siria, i cacciabombardieri sauditi colpivano Saada e altre località in Yemen, facendo almeno cinque vittime civili. Amnesty International tra il disinteresse dei governi occidentali, continua la sua campagna per fermare la vendita delle armi, anche italiane, usate dall’Arabia saudita in Yemen dove la guerra civile ha già fatto più di 12mila tra morti e feriti tra i civili, molti dei quali uccisi dai bombardamenti sauditi. Ma le bombe della monarchia Saud sono considerate solo dei confetti dai tanti esponenti del centrosinistra e della destra in Italia, dal PD ai Forzisti, che in queste ore si affannano a legittimare i Tomahawk sparati da Trump e a condannare i “crimini di guerra” di Bashar Assad, senza aver avuto prove da fonti realmente indipendenti del presunto uso di armi chimiche che sarebbe stato fatto dall’aviazione governativa siriana nella provincia di Idlib con decine di civili uccisi, tra i quali anche bambini. Costoro non hanno aperto bocca quando gli Usa con i loro bombardamenti aerei aveva provocato, appena qualche giorno prima, la morte di quasi 200 civili iracheni a Mosul e ora restano in silenzio di fronte ai 15-20 siriani, tra i quali quattro bambini, uccisi, stando alle prime informazioni, da un raid americano sul villaggio di Hanida a 30 km da Raqqa.

Trump ha mostrato i muscoli e, attraverso l’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley, in questi mesi il vero Segretario di stato Usa rispetto all’impalpabile Rex Tillerson, fa sapere è pronto ad usare di nuovo la forza militare contro Damasco. Deve fare i conti tuttavia con le conseguenze delle sue azioni, che ora spingono Mosca a rafforzare i legami con Iran, Siria e altri partner mediorientali. «Penso che ciò che è accaduto inciderà negativamente sui negoziati (tra governo siriano e opposizione,ndr) di Astana e Ginevra, la cooperazione è a rischio. Speriamo si possa arrivare alle discussioni pratiche sulle opzioni suggerite dall’inviato speciale dell’Onu per la Siria Staffan de Mistura nel corso del prossimo turno dei negoziati», avvertiva ieri il vice ministro degli esteri russo Gennady Gatilov in un’intervista a Interfax.

Ieri i capi di stato maggiore di Russia e Iran hanno discusso degli attacchi americani e deciso di continuare la lotta congiunta contro i terrorismo jihadista e qaedista. Soprattutto è sceso in campo lo stesso il presidente moderato Hassan Rohani che Trump, con le sue minacce di annullare o di rivedere in profondità l’accordo internazionale sul nucleare iraniano, sta indebolendo a vantaggio dello schieramento interno più radicale, a poche settimane dalle presidenziali. Rohani ora deve alzare la voce per non perdere consensi di fronte a una opinione pubblica iraniana sempre più scettica rispetto ai benefici economici che aveva lasciato intravedere la firma dell’accordo sul nucleare. Perciò ha chiesto con forza una commissione d’inchiesta internazionale «per chiarire cosa c’è dietro il recente attacco degli Stati Uniti contro la Siria e la verità sull’uso e la provenienza delle armi chimiche usate come pretesto». Rohani ha aggiunto che «il ragazzo (Trump) che ora governa gli Stati Uniti ha sostenuto nella sua campagna elettorale che aveva in mente di combattere i terroristi ma ora i terroristi stanno celebrando l’attacco degli Stati Uniti all’esercito siriano».

Il presidente iraniano ha infine avvertito che «non è chiaro quello che i nuovi funzionari degli Stati Uniti hanno in mente per la regione mediorientale e per il mondo, abbiamo bisogno di essere più vigili e uniti rispetto al passato. Dovremo essere pronti per tutte le possibilità». Rohani sa che una nuova guerra nella regione, dopo gli attacchi americani alla Siria, si è fatta più probabile e fa sapere a Washington che l’Iran è pronto.