Le note di “Leilet Eid”, la versione araba di “Jingle Bells”, cantata dalla famosa artista libanese Fairuz, allietano i clienti che entrano nei negozi di Betlemme. La città è addobbata a festa. Le luci del Natale colorano la Piazza della Mangiatoia, davanti alla Chiesa della Natività, che quest’anno ospita oltre all’albero di Natale anche un enorme presepe. Sulla facciata del “Centro culturale per la pace” però ci sono anche gli striscioni che proclamano Gerusalemme “Capitale eterna della Palestina” e sui muri esterni delle case sono riapparse le scritte che invocano la nuova Intifada. Frasi che testimoniano il riacutizzarsi del conflitto con Israele e un ulteriore aggravamento dell’occupazione dei Territori seguiti alla dichiarazione con cui il presidente americano Donald Trump il 6 dicembre ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele incurante dei diritti palestinesi sulla città. Le ricadute su Betlemme, principale polo turistico palestinese, sono state immediate. Si prevede una netta flessione delle presenze nei giorni del Natale, a cominciare dai palestinesi della Galilea frequentatori abituali della città della Natività durante le festività cristiane. Hanno già chiuso i battenti diversi hotel, tra i quali il lussuoso Jacir Palace (250 stanze) situato a poche decine di metri dal Muro israeliano dove intense sono in questi giorni le manifestazioni di protesta palestinesi disperse dai soldati quando va bene con il lancio di lacrimogeni, altrimenti sparando proiettili veri o rivestiti di gomma.

«La dichiarazione di Trump è stata uno shock per tutti i palestinesi ed è arrivata poco prima di Natale – spiega al manifesto Lubna Bandak, proprietaria del “Gran Hotel” – il presidente degli Stati Uniti non solo ha ferito le aspirazioni del nostro popolo e i nostri legami con Gerusalemme, ha anche causato l’annullamento di tante prenotazioni negli alberghi di Betlemme. Non siamo ottimisti, il trend negativo continuerà anche a gennaio e forse durerà fino a Pasqua». Khaled, il fratello di Lubna, è una guida turistica. È meno drastico sul calo degli arrivi per il Natale. Pone però il problema perenne di una Betlemme che potenzialmente potrebbe accogliere ogni anno alcuni milioni di turisti e pellegrini ma che resta penalizzata dal Muro che la separa da Gerusalemme e dalle politiche attuate dal governo Netanyahu e dai tour operator israeliani. «Ogni anno le nostre istituzioni sfornano nuove guide turistiche – ci dice – e il nostro numero cresce, siamo già 300 e le opportunità di lavoro scarseggiano sempre di più». Il punto, aggiunge, è che gli israeliani concedono solo in pochi casi alle guide palestinesi di operare fuori da Betlemme mentre, sottolinea, «le guide israeliane possono venire qui e lavorare senza problemi. Le autorità palestinesi hanno concesso loro i permessi necessari ma quelle israeliane non fanno altrettanto con noi».

Soffrono la dichiarazione di Trump anche gli ambulanti che affollano piazza della Mangiatoia. Mahmoud, che vende succo di melograno, scuote la testa. «L’anno scorso – ricorda – già prima di Natale, qui era pieno di visitatori ‘del 1948’ (in questo modo sono definiti i palestinesi che vivono in Israel, ndr) ma la tensione e gli scontri li hanno tenuti lontano sino ad oggi. Saremo fortunati se verranno almeno nel giorno di Natale». I funzionari dell’Anp provano a dare una visione meno drammatica. L’annullamento delle prenotazioni, dicono, non è così significativo. Sottolineano che le conseguenze del passo fatto dagli Stati Uniti su Gerusalemme comunque non tolgono al 2017 il record di presenze turistiche nei Territori palestinesi occupati: 2,7 milioni di visitatori rispetto ai 2,3 milioni del 2016. Dati che confortano Betlemme fino ad un certo punto. «Il Natale è il periodo più importante per la città (viene festeggiato tre volte nell’arco di un mese dalle diverse Chiese, ndr) e la dichiarazione di Trump è stata un colpo durissimo perché ha innescato tensioni e scontri che spaventano i turisti, soprattutto quelli stranieri. Prima la città era affollata di visitatori e gli alberghi avevano prenotazioni fino ad aprile. Non è più così. Non possiamo far altro che sperare. Il turismo è il motore dell’economia per i palestinesi cristiani e musulmani di Betlemme», spiega Majdoulin Salameh, del ministero del turismo.

Allo stesso tempo Betlemme in questi giorni è diventata un motore per la diffusione della narrazione palestinese del conflitto con Israele e della condanna della dichiarazione della Casa Bianca su Gerusalemme, grazie alla sua notorietà – il suo significato per la Cristianità la rende è una delle città più conosciute del mondo – e al fatto che a Natale e nei giorni successivi sarà in mondovisione e apparirà sugli schermi televisivi nelle case di centinaia di milioni di persone. La tv pubblica palestinese, che sarà in diretta dalla piazza della Mangiatoia e dalla chiesa della Natività, conta di mostrare stanotte e domani non solo gli addobbi natalizi e i riti religiosi ma anche gli striscioni che ricordano che Gerusalemme è la capitale della Palestina. Gli attivisti diffonderanno tra i visitatori una petizione a sostegno delle rivendicazioni palestinesi e distribuiranno adesivi con la scritta: “Noi amiamo Gerusalemme, la capitale della Palestina”. Ad inizio settimana dozzine di manifestanti si erano radunati sotto l’albero di Natale con candeline bianche e foto del vice presidente americano Mike Pence – che ha rinviato a gennaio il suo viaggio in Israele – e dell’inviato speciale Usa in Medio Oriente Jason Greenblatt. Sotto le foto una sola didascalia: «Betlemme accoglie i messaggeri di pace, non i messaggeri di guerra». Poi hanno dato fuoco alle immagini di Pence e Greenblatt.

Intanto è salito a 11 il numero dei palestinesi uccisi dalle forze armate israeliane dal 6 novembre. Ieri si è spento in ospedale Sharaf Shalash, 28 anni. Era stato ferito domenica scorsa a nord di Gaza.