In attesa della sfida dell’anno, i due candidati alla presidenza degli Stati Uniti due giorni fa, incontrando il premier israeliano Netanyahu, hanno offerto un assaggio dei loro programmi “innovativi” per il Medio Oriente e per il conflitto israelo-palestinese. L’appoggio americano a Israele, più deciso e meno polemico di quello garantito per otto anni dall’Amministrazione Obama, è un caposaldo dei programmi sia della democratica Hillary Clinton che del repubblicano Donald Trump. Entrambi si sono guardati bene dall’affermare il diritto dei palestinesi ad essere liberi dall’occupazione israeliana ed indipendenti in un loro Stato. L’ex Segretario di stato durante il colloquio con Netanyahu ha ribadito posizioni già note della politica statunitense nei confronti di Israele. Ha proclamato che la sicurezza degli Usa passa per la sicurezza di Israele e ricordato l’accordo (38 miliardi di dollari) raggiunto all’inizio di settembre per nuovi ed ingenti aiuti militari a Tel Aviv. «Un Israele forte e sicuro è vitale per gli Stati Uniti» ha commentato Clinton dicendosi pronta a contrastare il boicottaggio di Israele. Da parte sua Trump, tenendo fede al suo personaggio, ha capito che doveva stupire Netanyahu con qualcosa di più allettante, così da mettere in difficoltà anche le organizzazioni americane filo-israeliane negli Stati Uniti, schierate in prevalenza con la più “affidabile” Clinton, ed indurle a cambiare indicazione di voto. Per molte di queste organizzazioni l’orientamento del primo ministro israeliano è fondamentale.

Trump vuole l’appoggio di Israele e i voti degli ebrei americani e in cambio ha promesso a Netanyahu che la sua Amministrazione riconoscerà Gerusalemme come «capitale indivisibile dello Stato d’Israele». Gerusalemme «è stata la capitale eterna del popolo ebraico per oltre 3000 anni», ha spiegato, offrendo un quadro della storia del Medio Oriente perfettamente aderente a quello che fa Israele. Trump ha anche assicurato che una volta eletto «fra Israele e Usa sarà avviata una straordinaria cooperazione strategica, tecnologica, militare e di intelligence…Israele – ha aggiunto – è un partner di importanza vitale per gli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo dell’Islam radicale». Siamo in campagna elettorale e tutte le promesse vanno prese con le molle. Tuttavia il tycoon americano, che nei mesi scorsi aveva messo in allarme il governo Netanyahu dichiarando di avere una posizione “neutrale” su Israele e Palestina, se eletto alla Casa Bianca potrebbe innescare una spirale di gravi tensioni politiche e diplomatiche pur di assicurare pieno appoggio alle posizioni israeliane.

Israele, con il suo esercito, ha preso il controllo di tutta Gerusalemme nel 1967 e proclamato unilateralmente la città come sua capitale mentre i palestinesi vogliono fare di Gerusalemme Est, la zona araba, la capitale dello Stato cui aspirano. La comunità internazionale ha respinto l’atto di forza di Israele e, in via ufficiale, afferma pieno sostegno alle risoluzioni dell’Onu. Gli Stati Uniti però da una ventina di anni promettono di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. George W. Bush nel 2000 giurò di farlo appena entrato in carica e ora lo dice anche Trump, a spese dei diritti dei palestinesi e in violazione del diritto internazionale. Non solo. Il candidato repubblicano potrebbe aver fatto promesse a Netanyahu anche su altri dossier, come l’accordo sul programma nucleare iraniano sostenuto da Barack Obama ma contestato con forza da Israele.

I palestinesi sono usati come moneta di scambio e Netanyahu dorme sonni tranquilli. Chiunque vinca le presidenziali americane andrà bene per Israele. «Dopo aver incontrato i due maggiori candidati sono più convinto che mai che il legame fra Israele e gli Usa resterà forte dopo le elezioni», ha commentato il primo ministro. Il segretario generale dell’Olp, Saeb Erekat, non è andato oltre una scontata denuncia delle intenzioni di Trump.