Un altro passo attraverso lo specchio per un’America sempre più irriconoscibile che avanza verso un distopico futuro –  ora con tanto di preventivo. Per il 2017-1018 Donald Trump infatti ha presentato un bilancio di guerra, che prevede  enormi aumenti ad esercito, difesa nazionale e assistenza ai reduci, pagati con tagli ad ambiente, cooperazione, scienza e cultura.

LA SPESA MILITARE USA,  già maggiore di quella dei successivi sette paesi messi insieme, riceve così una ulteriore mastodontica infusione di 52,3 miliardi di dollari, dirottati da altri programmi. Per cominciare tagli di un terzo del bilancio dell’Epa preposta alla protezione dell’ambiente da cui verrebbero eliminate 3.200 posizioni e numerosi programmi.

Sparisce quasi un terzo del Dipartimento di stato, soprattutto programmi di cooperazione internazionale come Usaid e fondi alla Nazioni Unite.  Eliminati in toto quelli a programmi sul mutamento climatico e diminuita di tre quarti la partecipazione a forze di peacekeeping, in tutto i contributi americani all’Onu vengono dimezzati.

UN VERO “BAGNO DI SANGUE” che inizia la «decostruzione dello Stato» auspicata dagli integralisti. Solo il Nih (National Institutes of Health) perde 12 miliardi di dollari, il 16% di fondi sottratti a scienza e ricerca.

E in ogni dicastero a fare le spese sono soprattutto programmi per i più disagiati: dai sussidi per il riscaldamento a famiglie povere alla riqualifica di lavoratori esuberati e programmi scolastici. Gli estremi di una guerra ai poveri formalizzata da un presidente miliardario e feticista della ricchezza ostentata.

UNICA CONCESSIONE AI “CIVILI”: i mille miliardi destinati all’infrastruttura. Le migliorie a «strade, ponti, aeroporti, ospedali e scuole» sono state un ritornello fisso dei comizi di Trump e vengono ribadite in un bilancio che non specifica però maggiori dettagli, soprattutto come si eviterebbe con la spesa di produrre un colossale deficit. È un argomento che conduce all’inevitabile scontro coi falchi del governo minimo che preannunciano già opposizione in parlamento.

«Il bilancio lo facciamo qui nel congresso», ha detto Marco Rubio conservatore “cubano” della Florida ed ex avversario presidenziale di Trump. «L’amministrazione può fare le sue raccomandazioni ma le decisioni si prendono in questa aula». Parole che non promettono bene per la Casa Bianca impegnata in un polemico negoziato fra moderati e oltranzisti sulla controriforma sanitaria.

FORSE PER DISTANZIARSI dalle fastidiose mediazioni di Washington, Trump si è concesso al suo popolo in due comizi di una campagna elettorale permanente che sembra destinata a caratterizzare la sua presidenza. Prima in Michigan dove si è vantato  di essere il primo presidente ad ospitare i dirigenti automobilistici nello studio ovale.

Ed effettivamente manager dei costruttori di Detroit sembrano ospiti fissi alla Casa Bianca, comparse favorite da Trump  per proiettare l’immagine di amico dei metalmeccanici del Rust Belt.

A DETROIT STAVOLTA TRUMP ha portato in regalo la promessa di disfare le normative sui consumi imposte da Obama (efficienza delle auto aumentata del 25% entro il 2025). I costruttori sarebbero quindi liberi di concentrarsi sugli utili record che stanno realizzando con le vendite di Suv e grossi pickup, stimolati dai prezzi minimi del carburante (attualmente circa 80 cents al litro).

La giustificazione, s’intende, è  sempre la creazione di impieghi e sempre nella old economy, ovvero lo svincolamento di tecnologie ed energie tradizionali: idrocarburi, carbone e metalmeccanica. Non contenuto nel bilancio invece è il costo potenzialmente incalcolabile di una abdicazione della storica leadership americana sull’innovazione tecnologica.

Paradossalmente il raddoppio di Trump sull’occupazione avviene alla luce dell’intervento del Fed sui tassi dopo un decennio di costo praticamente zero del denaro. L’aumento sancisce monetariamente la ripresa Obama perché, nelle parole di Janet Yellin, «l’economia tira, l’inflazione è sotto controllo e la disoccupazione è a minimi storici».

COSÌ BASSA DI FATTO che il mantra di Trump su «jobs jobs jobs» potrebbe cominciare a preoccupare l’industria che teme l’aumento del costo del lavoro: un altro punto di frizione fra il populismo trumpista e le lobby finanziarie.

Tutti solo semplici dati di fatto che non hanno influito sugli slogan che Trump, dopo il Michigan, ha proferito anche in Tennessee. Il comizio di Nashville ha visto la solita grande affluenza di supporter venuti ad acclamare il presidente “ribelle”.

FRA LORO I GIOVANOTTI Alt-right, intervistati mentre aspettavano di entrare. Al microfono di Buzzfeed Live hanno spiegato di non essere interessati al bilancio quanto al progetto di una società «omogenea», fatta per «noi americani» e ad una soluzione alla «questione ebraica». Tanto per ribadire le forze scatenate, e ormai normalizzate dal trumpismo.