Sarà una coincidenza ma, appena Donald Trump ha messo piede sull’Air Force One per il suo primo viaggio internazionale come presidente degli Stati uniti, un’ondata di scoop ha investito i media americani, come se tutti i funzionari governativi stessero aspettando la partenza del presidente per chiamare le redazioni.

Ad aprire la sfilza di breaking news è stato il New York Times che ha pubblicato un documento dove si riassume l’incontro con il ministro degli esteri e l’ambasciatore russi nello Studio ovale e le affermazioni di Trump su Comey.

A quanto detto dal presidente, aver licenziato «quell’imbecille» di James Comey, direttore dell’Fbi che indagava sul Russiagate, è stato un sollievo che gli ha tolto «una grande pressione, a causa della Russia, ma ora me ne sono liberato. Era un pazzo, un vero fanatico», per poi specificare di non essere sotto inchiesta.

«Alleviare la tensione» non è un indizio indiscutibile che porta univocamente a una volontà di Trump di ostacolare le indagini sul Russiagate condotte dall’ex direttore dell’Fbi.

In ogni caso l’affermazione ha fatto scalpore e secondo la Cnn i legali di Trump stanno studiando le modalità del processo di impeachment, la cui applicazione fino a una settimana fa sembrava più un pio desiderio che uno scenario plausibile.

Anche la Casa bianca sembra ora voler più contenere il danno che riscrivere la narrativa dei media. La rivelazione del Nyt sulle affermazioni di Trump riguardo «quel pazzo» di Comey si basa su appunti presi durante l’incontro e circolati come resoconto ufficiale.

Sean Spicer, il portavoce di Trump, non l’ha smentita ma spiegata dicendo che «attirando l’attenzione su di sé e politicizzando le indagini sulla Russia, James Comey ha creato una pressione non necessaria sulla nostra capacità di trattare con la Russia. L’indagine sarebbe andata comunque avanti e l’uscita di Comey non mette fine all’inchiesta. Ancora una volta l’unica vera notizia è che la nostra sicurezza nazionale è stata messa a rischio dalla fuga di notizie di conversazioni private e classificate».

Ma questo non era che l’inizio. Poco dopo il Washington Post, citando fonti anonime informate, ha lanciato la notizia che un alto funzionario della Casa Bianca, molto vicino al presidente, sarebbe coinvolto nelle indagini sul Russiagate.

La persona in questione sembra essere Jared Kushner, marito di Ivanka. Ad affermarlo su Twitter ci ha pensato Yashar Ali, collaboratore del New York magazine: «È Jared Kushner, ho la conferma da quattro persone. Non è speculazione».

Kushner era già al centro di speculazioni e critiche per via dei colloqui oscuri con l’ambasciatore russo a Washington, Kysliak.

Questo fa prevalere l’ipotesi che sia lui il misterioso «consigliere molto vicino al presidente» di cui parla il Washington Post, invece che Sessions, ministro della giustizia, altro nome circolato nelle stesse ore: per i suoi rapporti con i russi ha dovuto ritirarsi dal coordinamento dell’inchiesta.

A concludere la serie di rivelazioni è stata la Cnn che in tarda serata ha lanciato il suo scoop: da alcune conversazioni intercettate dai servizi segreti americani durante la campagna presidenziale, risulta che dei funzionari russi si sono vantati di coltivare una relazione forte con l’ex generale Flynn, futuro responsabile per la sicurezza nazionale (anche se per poco) tanto da ipotizzare un suo uso per influenzare le decisioni del presidente.

Alcuni funzionari dei servizi si erano preoccupati talmente che, quando Flynn in seguito era stato nominato consigliere per la sicurezza nazionale, avevano limitato le informazioni da condividere con lui.

Il quadro che risulta da questo fuoco di fila di rivelazioni è una Casa bianca in crisi di credibilità, con i parlamentari repubblicani che non sanno più come restare fedeli al presidente senza compromettere irrimediabilmente la propria reputazione e i portavoce allo sbando che cercano di mantenere una facciata.

In questo contesto fanno pensare le dimissioni di Jim Donovan da vice ministro del Tesoro, forse il primo a scappare dalla nave che affonda.