Negli Stati Uniti votare per posta è una pratica comune, in uso sin dal 1864, ai tempi della Guerra Civile, quando il partito Repubblicano unionista si era battuto per far sì che i soldati al fronte, lontani dai loro Stati di residenza, potessero esercitare il diritto di voto. Questa prassi era sempre stata vista come una risorsa, almeno fino ad oggi.

CON SEMPRE PIÙ FREQUENZA e senza fornire prove, nelle ultime settimane Donald Trump ha ripetuto che il voto per posta aprirebbe la porta a brogli e manomissioni, con il pericolo di invalidare il risultato elettorale, poco importa se proprio lui, in prima persona, vota tramite il servizio postale. Queste affermazioni hanno fatto crescere la preoccupazione tra i Democratici, i quali vedono il presidente portare avanti aperte strategie volte ad ostacolare il voto da remoto in un anno elettorale segnato dalla pandemia di coronavirus, ragione per cui molti elettori preferirebbero evitare lunghe code, seggi affollati, l’uso delle macchine comuni.

Secondo un’analisi pubblicata dal New York Times, circa 3 elettori statunitensi su 4 possono legalmente richiedere di votare per posta, portando gli uffici postali a gestire la cifra record di 80 milioni di schede elettorali.

TRUMP NON FA MISTERO del voler limitare quanto più possibile il voto per posta, e a ulteriore conferma dei timori dei Democratici, è arrivata un’intervista a Fox Business, durante la quale The Donald ha dettagliato la decisione di non aumentare i fondi federali alle poste, in quanto «per far funzionare gli uffici postali e gestire milioni di schede elettorali, le poste hanno bisogno di quei soldi: ma se non li avranno, non potranno gestire i voti di tutti gli elettori». Oltre a ciò, da sempre più città americane, arrivano segnalazioni della rimozione fisica delle buche delle poste dalle vie cittadine.

Trump non lotta da solo: negli Stati Repubblicani i funzionari stanno collaborando con il presidente per cercare di impedire l’estensione del voto per posta, in uno sforzo coordinato che è solo l’ultimo di una serie di tentativi volti a limitare il ventaglio di opzioni di voto e a rendere difficoltosa la partecipazione delle fasce di elettori meno inclini a votare per il Gop, come minoranze etniche, giovani, e le fasce più povere.

Visto che negli Usa l’election day cade di martedì, quindi non in un giorno festivo, le fasce economicamente svantaggiate riescono ad esercitare il diritto al voto proprio tramite il voto via posta, senza essere obbligati a prendere un giorno di ferie non remunerato.

Oltre a ciò nei quartieri più poveri, e tradizionalmente abitati dalle minoranze, ci sono pochi seggi che servono molti elettori e dove si formano inevitabilmente lunghe file, spesso scambiate per una straordinaria affluenza alle urne, quando dovrebbero essere una prassi assolutamente ordinaria. L’opposizione di Trump è divenuta talmente preoccupante che la speaker democratica della Camera, Nancy Pelosi, ha annunciato che già questa settimana farà votare una legge per bloccare le recenti misure di riduzione dei fondi al servizio postale, e i Dem hanno anche invitato il direttore delle poste a testimoniare al Congresso alla fine di questo mese.

OLTRE AL CONGRESSO si sono attivati anche i procuratori generali di almeno sei Stati, che stanno preparando cause legali al fine di impedire all’amministrazione di ridurre il servizio. Dal canto suo ol servizio postale ha avvertito gli Stati che potrebbe non essere in grado di rispettare le scadenze per la consegna delle schede elettorali per corrispondenza dell’ultimo minuto; il nuovo capo del servizio postale degli Stati Uniti, Louis DeJoy, è entrato in carica una settimana fa, ma i suoi stretti legami con Trump, hanno subito sollevato dubbi sulla sua nomina; DeJoy è stato uno dei principali donatori di Trump e del Comitato nazionale repubblicano ed è incaricato della raccolta fondi per la Convention nazionale repubblicana del 2020.