Durante una riunione alla Casa bianca, Trump ha proposto ai dirigenti delle più grandi case produttrici di automobili del mondo, di imporre dei dazi del 20 per cento sui veicoli introdotti negli Stati uniti e di sottoporre le importazioni automobilistiche a controlli ben più rigidi sulle emissioni inquinanti, rispetto a quelli riservati ai veicoli nazionali.

L’INCONTRO era stato annunciato come una discussione sugli standard automobilistici statunitensi riguardo le emissioni inquinanti, ma quasi subito Trump ha sollevato la questione del commercio e ha preso di mira i produttori automobilistici europei, sostenendo che alle ditte straniere dovrebbero essere imposti i criteri di rispetto ambientale dell’era Obama, mentre le macchine Made in Usa dovrebbero attenersi alle ben meno rigide direttive della sua amministrazione. Questo doppio standard più la proposta di applicare dazi del 20 per cento non sono stati accolti favorevolmente dagli ospiti europei.

Al momento in base agli accordi siglati nell’ambito dell’Organizzazione mondiale del commercio, le auto importate negli Usa sono soggette a dazi del 2,5 per cento; il 25 per cento è applicato ai camion, mentre le tariffe doganali non si applicano se il paese di origine delle vetture ha un accordo commerciale con gli Usa.
La questione automobilistica è particolarmente delicata in questo periodo, anche internamente: l’amministrazione sta prendendo in considerazione, per i veicoli americani, l’applicazione di nuovi e più permissivi standard sulle emissioni, che potrebbero scontrarsi con quelli della California la quale ha già promesso guerra legale.

TUTTO QUESTO AVVIENE mentre si stanno negoziando le riscritture delle regole dell’Accordo di libero scambio nordamericano che disciplinano quali auto e quali parti di auto possono essere scambiate commercialmente all’interno del blocco, senza incorrere in dazi.

Durante l’incontro alla Casa bianca i tre grandi più grandi produttori di automobili di Detroit, città simbolo della crisi della produzione automobilistica Usa, sono rimasti in silenzio mentre Trump esortava le compagnie straniere a costruire più automobili negli Stati uniti, affermando che dovrebbero «costruirle qui e spedirle all’estero».
Trump – a questo proposito – non poteva mancare di lodare Sergio Marchionne, presidente e Ceo di Fiat Chrysler Automobiles Nv, per via dei piani della compagnia di spostare una struttura dal Messico, in Michigan. «Ecco, questo è quello che ci piace – ha detto Trump – e lui è il mio uomo preferito nella stanza».

PER TRUMP i rapporti con il mercato automobilistico sono sempre stati un punto nevralgico: quest’anno sono di mira le auto provenienti dall’Unione europea, che potrebbero essere soggette a tariffe se l’Ue dovesse vendicarsi dei dazi statunitensi sulle importazioni di acciaio e alluminio.
Stando a ciò che dicono gli esperti del settore, sarebbe molto difficile per gli Stati uniti applicare dazi aggiuntivi sulle importazioni delle macchine senza violare le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio, ma a questo Trump al momento non ha pensato.

I rapporti con l’Europa sono sempre meno idilliaci da quando Trump ha deciso di lasciare l’accordo sul nucleare con l’Iran, dopo aver lasciato quello di Parigi sulle emissioni inquinanti; i due continenti sembrano sempre più lontani e Trump sembra sempre alla ricerca di un nemico per alimentare una tensione che giustifichi la sua presenza alla Casa bianca.
Questa era, a conti fatti, la strategia di Bannon: nutrire un clima di cupezza e confusione per imporre l’improponibile, una strategia nota che porta direttamente al concetto di «uomo forte al potere», molto caro a Trump.
Ora che l’Asia non è più un problema di vita o di morte e la Corea del Nord sta per diventare un paese amico, c’è bisogno di alimentare una tensione commerciale internazionale e continuare a tenere alto uno scontro e il livello di propaganda.