Londra ha accolto Donald Trump con il suo miglior grigiore, la sua migliore pioggia, i suoi migliori manifestanti. E mentre il pallone gonfiato con l’effige del presidente degli Stati uniti sventolava irriverente sulle decine di migliaia di teste accorse a dire no al rituale diplomatico ossificato, vuoto e opulento riservatogli, l’effigiato – non meno gonfiato – continuava il tour delle massime cariche dello stato britannico.

Compresa naturalmente la trisavola coronata: Trump ama Elisabetta seconda (anche se probabilmente non ricorda la prima) ed esalava sincero rispetto e soddisfazione al cospetto della sovrana. I ritratti fotografici dei due entourage al completo sono già in attesa di cornice e caminetto su cui fare mostra di sé tra un libro di self-help e un bel merluzzo parlante (d’oro). Se solo mamma potesse vederli. «È una donna fantastica, una persona fantastica», ha detto, dando pericolosamente fondo al suo vocabolario da tredicenne.

Ieri era il secondo giorno della visita di Stato in Gran Bretagna dell’ormai familiare volto della democrazia americana attuale. Non senza un certo imbarazzo, Trump è stato lusingato dall’establishment dell’ex dominatore coloniale del suo grande paese, che non ha esitato a srotolare il protocollo delle visite intergalattiche, anche se non lo ha scarrozzato nel calesse intagliato della sovrana né è stato invitato a pernottare a Buckingham Palace, dove l’unico divano-letto disponibile era fuori uso.

Ma è stato comunque l’ospite d’onore di un banchetto per 170 in-dignitari, che ha saputo impreziosire con la solita gaffe da rotocalco di chi proviene da un paese senza medioevo: anche lui – come la moglie del suo predecessore, Michelle Obama – ha toccato la monarca, purtroppo senza sparire o trasformarsi in qualcosa di meno dannoso per l’uomo e la natura. Nemmeno a lei è successo nulla.

Dopo un incontro a Downing Street con Theresa May – già passata remota e ormai portiera del numero dieci, da giorni ormai con i bagagli dietro la porta – suggellato da una conferenza stampa dove i due leader hanno ripercorso a memoria tutto il repertorio dal 1945 sul rapporto speciale (dove specialità deve occultare una parità fittizia), Trump ha ribadito il suo convincimento che Brexit sia una gran cosa e di voler fare un grande accordo di libero scambio con il Regno Unito.

Aggiungendo, non senza eccitare ulteriori controversie tra i paladini bipartisan del National Health Service (l’Nhs è il primo servizio sanitario pubblico europeo dopo la seconda guerra mondiale), che lo stesso Nhs sarà oggetto di negoziazione nel trattato, alimentando le speculazioni di una sua privatizzazione a imprese statunitensi.

Trump, che non si è dimostrato avaro di preziosi suggerimenti al futuro leader britannico (uscite dall’Ue senza accordo e senza pagare l’indennità di divorzio, poi stipuliamo un mega-accordo bilaterale: musica per le orecchie dei più euroscettici Tories in corsa per la leadership), ha ribadito la sua posizione sulla Nato (i Paesi membri devono aumentare i budget per la difesa), ha annunciato di voler incontrare Michael Gove – tra i più pericolosi ideologi Tories perché meno ignorante – e ieri sera ha incontrato Farage, da lui lodato a ogni piè sospinto e che avrebbe visto volentieri come ambasciatore a Washington. Restano tuttavia vari golfi da colmare: sul clima, sulla Cina (vedi Huawei) e sull’Iran.

In conferenza stampa Trump ha poi annunciato di rifiutato un incontro col temuto futuro leader britannico. «È una forza negativa», ha detto giustificando la propria decisione, usando un tropo new age che – come buona parte della cultura new age nel suo complesso – non significa un bel nulla. Parliamo naturalmente di Jeremy Corbyn che, a sua volta “fuori le mura” di Downing Street, faceva quello che sa fare meglio: parlava ai manifestanti affluiti davanti a Whitehall di quelle cose utopiche come pace, giustizia, collaborazione, umanità, accoglienza: vocaboli ormai espunti dai dizionari di quest’Europa sempre meno veteroliberale e più neofascista.

Ore prima, ai microfoni del programma mattutino Today di Bbc Radio 4, Emily Thornberry, sagace ministro degli Esteri ombra, aveva difeso la scelta di Corbyn di boicottare l’illustre cenone, nonostante tra loro ci sia disaccordo (sullo sciagurato secondo referendum in primis): «È un predatore sessuale, un razzista ed è giusto dirlo – ha detto Thornberry di Trump – Credo che ci sia bisogno di chiedersi quando il nostro Paese è diventato così timoroso. Perché non cominciare a dire le cose come stanno?».