Il primo discorso al congresso di Donald Trump è stato, a dire quasi unanime dei commentatori, il momento in cui lo squilibrato demagogo populista è infine assurto al decoro presidenziale.

PERFINO ACERRIMI avversari politici come Van Jones hanno dato atto al presidente di aver evitato le escandescenze e le improvvisate  farneticazioni che hanno finora caratterizzato i suoi interventi. Una vittoria quindi, registrata anche dai sondaggi: fra gli americani che hanno ascoltato il discorso (un campione però più «tarato» verso i Repubblicani) quasi il 70% si sono dichiarati convinti dalla performance.

COME HANNO RILEVATO alcuni, e con grande sollievo dei repubblicani, Trump non ha insultato reduci, insinuato brogli elettorali e si è perfino astenuto dal denunciare i giornalisti come traditori. Invece davanti ai rappresentanti istituzionali (senatori e deputati, giudici della corte suprema, capi di stato maggiore) ha pronunciato il suo discorso più squisitamente reaganiano – pieno di «eccezionalismo» e patriottismo retorico –  assai più vicino cioè alla tradizionale  oratoria della destra storica.

UN MOMENTO TOPICO è stato quando le telecamere hanno inquadrato la vedova del Ryan Owens,  il navy seal ucciso nel raid sullo Yemen a gennaio (le «comparse» invitate in aula e inserite nel discorso sono una tradizione inventata proprio da Reagan). Le lacrime della donna e la standing ovation sono state un momento sommamente teatrale orchestrato per occultare la realtà di una operazione segreta americana su territorio yemenita allo scopo dichiarato di «raccogliere intelligence» ma finita con l’uccisione, oltre che di Owens, di 14 combattenti affiliati con Al Qaeda e 25 civili fra cui una bimba di 8 anni.

IL TRUMP CHE IERI ha solennemente dichiarato Owens «eroe per l’eternità»  ha prima addossato la colpa della fallimentare operazione ai suoi  comandanti militari  e poi, nel suo discorso, ha detto che si è in realtà trattato di un successo che ha fruttato «preziosissime informazioni». (Il padre del militare caduto si è rifiutato di incontrare il presidente, nda).

LA RIFORMULAZIONE dei fatti contro ogni evidenza è d’altronde la caratteristica fondamentale del trumpismo.

Davanti al congresso Trump, è vero, ha messo da parte il  celodurismo più grossolano e usato invece un tono di «misurata  muscolarità» come lo ha eufemisticamente definito il Washington Post. Ma seppure in versione più patinata, ha impiegato una retorica collaudata per dipingere un improbabile utopia populista.

[do action=”quote” autore=”Donald Trump al Congresso”]«Industrie moribonde torneranno a ruggire dando lavoro ai nostri coraggiosi veterani di ritorno a casa. Ponti e ferrovie scintilleranno lungo questa meravigliosa terra. L’epidemia della droga cesserà e i ghetti risorgeranno»[/do]

«Industrie moribonde torneranno a ruggire», ha detto enfaticamente, «dando lavoro ai nostri coraggiosi veterani di ritorno a casa. Ponti e ferrovie scintilleranno lungo questa meravigliosa terra. L’epidemia della droga cesserà e i ghetti risorgeranno».

Un quadro che è sembrato attingere sia dalla nostalgia di Norman Rockwell che dalla allucinata fantascienza di Philip K. Dick. Una narrazione irreale di cui hanno fatto parte «i nostri grandi minatori di carbone», altra industria favorita di cui Trump non si stanca di promettere la «rinascita» in barba alla realtà economica che favorisce il gas estratto col fracking e alla riconversione globale già in atto verso le energie rinnovabili.

TRUMP HA TROVATO il modo di fregiarsi dei record della borsa («mille miliardi in più durante il nostro primo mese») e di millantare, davanti ai suoi ministri, fra cui numerosi miliardari, manager Goldman Sahcs e l’ex amministratore delegato della Exxon convertito in ministro degli esteri, di aver «bonificato la palude» delle collusioni fra politica e finanza.

Allo stesso tempo, non ha fornito indicazione alcuna su come intende finanziare quella che fra protezione nazionale, infrastruttura, spesa militare e riduzione delle tasse  promette di essere una storica catastrofe per il bilancio – specialmente dal punto di vista dei repubblicani per cui la riduzione della spesa pubblica è un assioma.

NON SI È TRATTATO però di un discorso programmatico. E in questa cornice di oligarchia festante, la soddisfazione proprio dei repubblicani era evidente dalle espressioni compiaciute stampate sulle facce del vicepresidente Mike Pence e dello speaker Paul Ryan seduti dietro al  presidente. Per loro, un oltranzista evangelico, anti abortista e un neocon fiscale, paladino dello smantellamento del welfare, la vittoria è stata un discorso in cui Trump non si è allontanato dalle parole  proiettate sul «gobbo».

Un copione di iperbolico florilegio dal quale Trump ha recitato: «Ogni generazione americana passa la torcia della libertà e della giustizia in una catena continua fino a noi. E la useremo per far luce nel mondo. Dal profondo del cuore sento iniziare un nuovo capitolo di grandezza americana».

UNA PATINATA rappresentazione coreografata per offuscare la dura realtà di una restaurazione conservatrice imposta malgrado la maggioranza contraria espressa dal voto popolare a novembre.

Dietro alla scenografia sono apparsi nondimeno scorci davvero inquietanti sulla effettiva portata del nazionalismo trumpista.

FRA QUESTI, l’annuncio di un nuovo ente ministeriale: il Voice (Victims of Immigration Crime Engagement). Un vero ministero della xenofobia senza altro scopo che mantenere l’attenzione sulla «crisi» posticcia degli immigrati criminali.

Non sorprendono in questo quadro le notizie che giungono dai posti di frontiera canadesi – sopraffatti da richiedenti asilo in fuga dagli United States of Donald Trump.