A Indianapolis il presidente americano Donald Trump ha annunciato l’attesa riforma fiscale che ora andrà sottoposta al giudizio del congresso.

Questa è la prima riforma fiscale dal 1986: tagli alle tasse per le aziende che passeranno dall’attuale 35% a un’aliquota del 20%, per i ricchi e per la middle-class, meno per la ex classe media impoverita che compone la base di Trump.

AL MOMENTO I DEMOCRATICI sono gli unici a far notare i punti oscuri della proposta. I repubblicani, dopo avere inanellato sconfitte su tutti i temi chiave del loro programma elettorale, concordano sul fatto che la priorità ora sia portare a casa una prima vittoria in un periodo in cui i nuovi presidenti tendono ad essere più produttivi, con il Congresso controllato dal proprio partito.
Una delle cause (ed effetto) della disfunzionalità di questa Casa bianca sta anche in tutti gli scandali e le defezioni che la coinvolgono; sul fronte delle dipartite, l’ultima in ordine temporale è quella di Chuck Rosenberg, responsabile della Drug Enforcement Administration (Dea), l’agenzia federale antidroga. Rosenberg si è licenziato in aperta polemica con Trump in quanto contrario alle posizioni del nuovo presidente secondo il quale non c’è niente di male nel torturare i sospetti, o quanto meno trattarli duramente.

ROSENBERG È UN FUNZIONARIO dell’era Obama, alla guida dell’agenzia dal 2015, ed è un vecchio alleato dell’ex capo dell’Fbi, James Comey, licenziato da Trump perché poco incline a chiudere un occhio sul Russiagate. «Dobbiamo avere il coraggio di parlare quando siamo di fronte a qualcosa di sbagliato», ha detto Rosenberg, in contrasto anche con i responsabili del dipartimento di giustizia e in particolare con Jeff Sessions sull’uso della marijuana e sulla lotta alla gang Mara Salvatrucha a El Salvador.

SESSIONS VORREBBE FARE una priorità della lotta contro la Mara Salvatrucha, mentre da anni la Dea dedica le proprie risorse prevalentemente alla lotta contro i cartelli messicani, identificati, nelle recenti relazioni dell’agenzia, come la vera minaccia crescente.
Trump sin dalle primarie ha sempre rivendicato la maniera dura come il modo migliore per trattare, fuori e dentro i confini americani, difendendo l’uso del waterboarding, una forma di tortura che consiste nell’immobilizzare un individuo con i piedi più in alto della testa e versargli acqua sulla faccia durante gli interrogatori, e più recentemente incitando la polizia ad essere più brutale quando ferma un sospetto, strattonandolo e buttandolo malamente in macchina.

SUL FRONTE DEGLI SCANDALI resta sempre un brutto momento per Trump. La commissione Intelligence del Senato ha invitato Facebook, Twitter e Alphabet (Google) a comparire per un’udienza pubblica il prossimo primo novembre in quanto strumenti delle interferenze russe nelle elezioni americane del 2016.
Secondo il New York Times risulta che Twitter sia stato usato nell’ambito dai russi per sostenere Trump e che una questa prassi continui tutt’ora, tramite account ad hoc legati alla Russia che, ad esempio, alimentano il furore in seguito alla protesta della lega di Football americano Nfl e la polemica con Trump.

PRASSI SIMILE con Facebook: almeno una delle inserzioni di Facebook acquistata dai russi, sempre durante la campagna elettorale del 2016, aveva come target il movimento Black Lives Matter e utenze di Ferguson e Baltimora, dove le tensioni sociali sono particolarmente aspre. L’obiettivo era quello di creare la percezione di un’atmosfera di instabilità e caos per favorire l’uomo forte Trump. Quest’ultimo ha invece accusato Facebook, nonché la stampa in generale, di essere sempre stato contro di lui e anzi di diffondere fake news poi riprese dai media mainstream, vagheggiando di possibili «collusionio». Il fondatore di Facebook ha risposto sostenendo che la sua piattaforma accetta ogni tipo di idea: «Facebook ha dato voce alle persone, messo i candidati nelle condizioni di comunicare direttamente».