Gli Stati uniti sono entrati nella terza settimana di shutdown, il blocco dei finanziamenti al governo federale, e non se ne vede la fine: Trump per tornare alla normalità domanda al Congresso di stanziare 5,7 miliardi di dollari per costruire un muro al confine con il Messico e la neo insediata Camera dei deputati, a maggioranza democratica, stando a quanto ha dichiarato ai giornalisti la speaker democratica Nancy Pelosi, non è disposta a finanziare l’opera con più di un dollaro.

Non se ne esce e The Donald, dopo aver specificato che per lui lo shutdown può continuare «per mesi, anche per anni», ha annunciato che alle 21 americane (le 3 di notte italiane, troppo tardi per noi) durante il prime time televisivo terrà un discorso a reti unificate, per la prima volta dallo Studio ovale della Casa bianca per parlare alla nazione.

Oltre a ciò Trump ha dichiarato che domani volerà al confine con il Messico per un incontro con «quelli che sono in prima linea sul fronte della sicurezza nazionale e della crisi umanitaria» dei migranti. E su Twitter ha scritto che il muro non sarà più in cemento, ma in acciaio, una barriera lunga circa 3.100 chilometri, «più forte e meno invasiva», sperando forse di far così capitolare i democratici e uscire da uno shutdown che si candida a diventare il più lungo della storia statunitense, con oltre 800mila dipendenti pubblici che non percepiscono lo stipendio da 18 giorni.

Gli effetti di uno shutdown prolungato si riflettono su tutta l’economia del Paese, piccoli centri e città con una grossa percentuale di impiegati del governo stanno iniziando a sentire il contraccolpo del blocco. Molti lavoratori federali (si parla di 10mila nello Utah, 6.200 in West Virginia e 5.500 in Alabama) hanno stipendi molto al di sotto della media, ma quegli stipendi guidano le economie locali e i lavoratori cominciano a dover fare scelte difficili su come spendere i risparmi che hanno, se mangiando di meno o limitando gli spostamenti oppure facendo la spesa alle dispense alimentari invece che nei negozi di alimentari.

Paradossalmente si pensa che Trump, nel suo discorso a rete unificate, voglia appellarsi proprio a questa fascia, che vive dello stipendio, non ha salvagenti economici e in buona parte costituisce la sua base.

Si prefigura che proporrà una narrativa da crisi epocale presentando la situazione al confine con il Messico come una questione di sicurezza, in modo da aggirare l’ostacolo con i democratici creando un caso nazionale per scavalcare il Congresso e usare i fondi del Dipartimento della Difesa per il muro, anche se una mossa di questo genere è garanzia dell’inizio di una infinita battaglia legale.

Se questo, come sembra, è il piano di Trump, ricorrere al National Emergencies Act del 1974 che durante una crisi dà al presidente un potere speciale, questa del muro sarebbe la 32esima emergenza nazionale: negli Stati uniti ne sono attive già 31, una delle quali risalente all’amministrazione Carter.

Di fatto Trump durante la sua presidenza ha già rilasciato tre dichiarazioni di emergenza nazionale, la maggior parte riguardanti le interferenze straniere nelle elezioni americane, anche se la mossa ha raccolto critiche bipartisan perché le sanzioni sono sembrate troppo blande.

Stavolta, però, il tutto sembra talmente pretestuoso da far dichiarare a Jack Trapper, che presiede l’House Intelligence Committee, che Trump non ha l’autorità per muoversi in questo senso: «Se Harry Truman non ha potuto nazionalizzare l’industria dell’acciaio in un periodo di guerra, allora questo presidente non ha il potere di dichiarare un’emergenza per costruire una barriera multi miliardaria al confine».

Trump al momento è in un vicolo cieco e ci si è messo da solo: dopo aver per anni parlato del muro, di un’invasione di migranti che non c’è, dopo aver perso seggi e consensi alle elezioni di midterm di novembre, ora deve agire in modo concreto e per farlo deve far ricorso agli unici veri alleati che ha, vale a dire la sua base.

Gli unici a credere alla narrativa allarmista del presidente è quella classe media impoverita che l’ha votato ed è a loro che si rivolgerà Trump a reti unificate, addossando la colpa dello shutdown ai democratici che, come va ribadendo da giorni su Twitter, non hanno a cuore la sicurezza nazionale.

Per fare ciò sta declinando tutto il teatrino populista, a partire dall’uso dello Studio ovale, come se stesse annunciando un’entrata in guerra. Di fatto una guerra è iniziata, ed è con i democratici, che hanno a loro volta chiesto uno spazio televisivo per contrapporre la loro versione dei fatti, andando in onda subito dopo il discorso del presidente.