Il presidente Trump, se non può risuscitare le tante vittime del virus provocate dal suo ostinato negazionismo, farebbe ancora a tempo a risuscitare almeno due «morti che camminano» nel braccio della morte del penitenziario federale in Indiana.

Solo lui ha la potestà di fermare l’iniezione letale che ucciderebbe entro dicembre due rei confessi di omicidio, il quarantenne Brandon Bernard e la cinquantenne Lisa Montgomery.

Anzi, sarebbe suo dovere intervenire: è buona norma che i presidenti uscenti deferiscano al successore ogni decisione di grave entità, come quella di spegnere una vita. In quel penitenziario, invece, nella disattenzione generale è già stato giustiziato il 19 novembre un altro omicida, Orlando Cordia Hall.

Allora Trump era troppo affaccendato con i suoi ricorsi per decidere se salvare o meno la vita di un criminale sconosciuto. Ma ora che ha più tempo, si avvarrà delle prerogative presidenziali per salvare almeno gli altri due morituri?

Potrebbe, vista la “generosità” con cui ha promesso di elargire presto il perdono a vari personaggi incriminati per colpa sua, dopo aver già perdonato tipi come Joe Arpaio, lo sceriffo dell’Arizona condannato per aver segregato per anni e schiavizzato degli immigrati irregolari.

Trump avrebbe tutto il diritto – e anche il dovere – di sospendere le due sentenze di morte. Lei in particolare, Lisa Montgomery, ha avuto un’esistenza travagliata: abusata da piccola, da tempo soffre di disturbi bipolari e di turbe depressive confermate dai medici. Sua sorella ha dichiarato: «Supplico il presidente di aprire il suo cuore e pensare alla vita terribile che ha avuto questa donna».

È da 70 anni che una donna non viene più giustiziata per crimini federali. Il problema è che è stato il presidente stesso a reintrodurre con una semplice firma, a settembre, la pena capitale per gravi reati federali, interrompendo una moratoria che durava da un ventennio.

E lo aveva lasciato intendere già a giugno quando – circondato da agenti in uniforme antisommossa e seguito dal fedele “ministro della giustizia” – si era diretto verso la chiesa che fronteggia la Casa bianca brandendo una Bibbia voluminosa.

Con quel gesto intendeva, forse, segnalare che nel Levitico sta scritto «Occhio per occhio, dente per dente». Ma se avesse avuto la pazienza di sfogliare il volume fino in fondo, avrebbe trovato anche questo: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia».

Biden, da cattolico praticante qual è, ha preannunciato che riesumerà subito la moratoria e si sforzerà anche di convincere i rimanenti Stati “forcaioli” (tra cui Indiana e Texas) ad abolire la pena capitale, spiegando loro che uccidere in nome dello Stato lo abbassa al livello degli assassini.

Lo aveva capito già nel 1999 George Ryan, neo-governatore dell’Illinois. Dopo aver firmato un ordine d’esecuzione, aveva aperto un faldone che attestava un dato terribile: una condanna su tre era impestata da vizi di forma o di sostanza, con forti probabilità che fosse stato giustiziato qualche innocente.

«Quella notte non riuscii a dormire – mi raccontò incontrandolo a Chicago nel 2004 – Nominai un comitato che mi indicasse come riformare il sistema e sottoposi i risultati all’Assemblea statale affinché legiferasse. Siccome allo scadere del mio mandato l’Assemblea non si era messa d’accordo, io mi dissi “Non voglio sostituirmi a Dio” e commutai le condanne già comminate ai 164 reclusi nel braccio della morte».

A sostegno di Biden dovrebbe intervenire la Corte suprema, ormai formata in maggioranza da giudici cattolici (sei su nove) dopo che Trump ha nominato all’ultima ora Amy Coney Barrett, nota per la sua intensa fede cattolica. Il momento della verità arriverà quando la Corte sarà investita della decisione di abolire la pena capitale definitivamente.

Se Barrett o qualche altro giudice cattolico votasse contro, come dovrebbe reagire il Vaticano? Meglio rammentare ai credenti che l’istituto della scomunica esiste tuttora.

Un tempo si usava graziare un condannato a morte nelle grandi occasioni festive. In America, invece, accade che l’ultimo giovedì di novembre, giorno sacro del Thanksgiving, si conceda la grazia a un tacchino piuttosto che a un essere umano.

Così ha fatto Trump anche quest’anno: ha graziato un tacchino, ma non due reclusi che agonizzano nel braccio della morte di un penitenziario sperduto nell’Indiana. Due suoi concittadini che si salverebbero da morte certa, se solo lui bloccasse con un tratto di penna l’iniezione fatale.